venerdì 26 maggio 2017

AveTar


















Il 24 maggio, una data ora e sempre fatale, del corrente anno, il Tar del Lazio
ha annullato la nomina di cinque direttori di importanti musei italiani, perché i
detti nominati erano «non italiani».


Era ora! Finalmente la Ragione, in toga e tocco circonfusa, dà indiretta e ritorsiva conferma, con sentenza tonitruante munita di sigilli, che esiste eccome, in faccia ai debosciati felloni della patria nostra italiona bella, che esiste, insomma, sì esiste e va difesa ad ogni costo, quella che un manipolo di studiosi finissimi, il 26 luglio 1938, sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, sfidando smidollati e increduli, proclamò quale inappellabile evidenza: «Esiste ormai una pura razza italiana».
Ergo la cura del nostro patrimonio artistico ha qual tutela suprema solo la carne, il sangue e lo sperma di detta pura razza preclara, ché il Piave già presago aveva mormorato, si capisce inascoltato, ogni nefandezza dei foresti barbari avvezzi a nutrirsi ancor solo di ghiande e di altre bacche, o di radici e vermi disgustosi, grufolanti parole da balbuzie cavernicola, intenti a ravanar pudenda infra il bracone in tela grezza, quando non in pelle di selvaggina giurassica manco ben conciata. E se lo dice un Giudicante togato, minchia, ogni replica è vano e insulso vilipendio, poi ch’egli eroicamente al mero lume d’un provvidenziale moccolo di cera, tra le ombre polverose della sua notte insonne, dopo scrupoloso scrutinio con meritoria acribia giureconsultica, nel garbuglio, infine, azzeccò la leggina insepolta, il comma offeso, la norma vindice.
Del resto, importa né punto né poco che nella compagine della pura razza son parte - bensì Santi aureolati da nimbi di fogge strabilianti, Poeti che il lauro gli fuoriesce perfino dalle froge e Navigatori navigatissimi - ma pur anche «biscazzeruzzi dalle tre carte su l’ombrello ne’ chiassetti reconditi, cartomanti con la tigna, tosacani dilettanti a ora persa, (...) contrabbandieri di dadi di pollo avariati, prestatori di pene a vecchie femmine remuneranti» (C. E. Gadda).
Qui il punto è altro, il giudicante in toga su pulpitante scranno statuì una circostanza che nemmeno i più aspri spregiatori delle virtù italiche possono denegare ai membri della sua pura razza, ossia «d’aver un culo, sotto il quale si potesse collocare una seggiola» (C. E. Gadda). E dunque via, fuori, raus: le terga forestiere tornino oltralpe e oltremare a poggiare su acconci nudi rami o su cavi tronchi alla deriva, onde non sia mai che le nostrane profumatissime seggiole siano offese da miasmi barbarici di selvatiche scoregge, dacché notoriamente solo le natiche di quelli della pura razza, nonché callipigie, son debitamente nette d’ogni oltraggioso tanfo.
Amen

lunedì 1 maggio 2017

L’arte della figa

Sulla nuova Collezione "Masters" di LV & JK
(immagini omesse per dispetto, disponibili qui)
















Nutrendo una incrollabile certezza sulla inutilità sociale dell’indignazione, e dovendo riservare un malmostoso e risentito rancore a vicende di ben altro scandalo, ci tocca di destinare, al rimanente vasto squallore che incombe, un divertito disprezzo, una distratta disistima, un indifferente biasimo.
S’era tutti, nevvero, in febbricitante e spasmodica attesa delle novità straordinarie che avrebbe generato l’annunciata collaborazione del più grande artista di tutti i tempi, JK, già marito dell'onorevole Ilona Staller, con LV, il marchio del lusso più prestigioso dell’universo. Perfino nell’Olimpo gli dèi s’erano accalcati senza ritegno, tra spintoni e gomitate tutt’altro che commendevoli, pur di stare in prima fila per meglio ammirare l’imminente collezione strabiliante.
E che ti cavano quelli dal cilindro? Quattro borse con su stampati particolari di immortali capolavori di Leonardo, Tiziano, Rubens, Fragonard e Van Gogh. Basiti per l’incredibile trovata creativa, mentre il rovello ancora oscilla incerto tra meco e stica, dovendo del resto tacere daltre estasi per pudore e convenienza, sorge nondimanco spontanea una domanda. Ma come hanno fatto ad ottenere il consenso di quel pazzo di Vincent, o di quell’altro burbero e incazzoso di Leonardo? Ah, ecco, già sono morti Vincent e gli altri, né hanno eredi con stuoli d’avvocati per tutelarne i diritti. Pare una sorta di contrappasso, per interposta persona: il povero, si fa per dire, LV riprodotto da falsari in ogni angolo del mondo, che si fa falsario a sua volta, sfruttando a gratis e senza consenso, l’opera dell’ingegno altrui.
Ogni scrupolo morale o bottegaio potrebbe tuttavia sospendersi, innanzi alleventuale valore simbolico della cosa in sé, sempre che se ne rinvenisse alcuno. Poiché, di contro, pare difficile negare che il grandissimo artista, complice e ispiratore della trovata, con quest’ultima prodezza voglia ribadire l'assoluta centralità della transustanziazione della paccottiglia, il trionfo del kitsch che s'invera nel lucroso vertice del patacca-style. Se poi le stampate borsette implicassero una immonda reificazione mercantile di opere dello spirito, chi se ne fotte. Volete mettere il piacere e l’innegabile buon gusto di trasformare in inconsapevoli e ambulanti testimoni d’arte, strafighe ancheggianti in luxury hotel a Dubai, o isteriche mogli di commercialisti in shopping compulsivo tra San Babila e via Bigli?
Del resto, è il lusso, bellezza! Come dubitare che i vizi privati di Odette de Crecy, per eterogenesi dei fini, non siano, con ogni evidenza, preclare e  pubbliche virtù? Avrà pensato l’artista, mentre sbirciava compiaciuto l’ultimo estratto conto ricevuto dalla sua banca.