Il 24
maggio, una data ora e sempre fatale, del corrente anno, il Tar del Lazio
ha annullato la nomina di cinque direttori di importanti musei italiani, perché i
detti nominati erano «non italiani».
ha annullato la nomina di cinque direttori di importanti musei italiani, perché i
detti nominati erano «non italiani».
Era ora!
Finalmente la Ragione, in toga e tocco circonfusa, dà indiretta e ritorsiva
conferma, con sentenza tonitruante munita di sigilli, che esiste eccome, in
faccia ai debosciati felloni della patria nostra italiona bella, che esiste,
insomma, sì esiste e va difesa ad ogni costo, quella che un manipolo di
studiosi finissimi, il 26 luglio 1938, sotto l’egida del Ministero della
Cultura Popolare, sfidando smidollati e increduli, proclamò quale inappellabile
evidenza: «Esiste ormai una pura razza italiana».
Ergo la
cura del nostro patrimonio artistico ha qual tutela suprema solo la carne, il
sangue e lo sperma di detta pura razza preclara, ché il Piave già presago aveva
mormorato, si capisce inascoltato, ogni nefandezza dei foresti barbari avvezzi
a nutrirsi ancor solo di ghiande e di altre bacche, o di radici e vermi
disgustosi, grufolanti parole da balbuzie cavernicola, intenti a ravanar
pudenda infra il bracone in tela grezza, quando non in pelle di selvaggina giurassica manco ben
conciata. E se lo dice un Giudicante togato, minchia, ogni replica è vano e
insulso vilipendio, poi ch’egli eroicamente al mero lume d’un provvidenziale
moccolo di cera, tra le ombre polverose della sua notte insonne, dopo scrupoloso
scrutinio con meritoria acribia giureconsultica, nel garbuglio, infine, azzeccò
la leggina insepolta, il comma offeso, la norma vindice.
Del resto,
importa né punto né poco che nella compagine della pura razza son parte - bensì Santi aureolati da nimbi di fogge strabilianti, Poeti che il lauro gli
fuoriesce perfino dalle froge e Navigatori navigatissimi - ma pur anche
«biscazzeruzzi dalle tre carte su l’ombrello ne’ chiassetti reconditi,
cartomanti con la tigna, tosacani dilettanti a ora persa, (...) contrabbandieri
di dadi di pollo avariati, prestatori di pene a vecchie femmine remuneranti»
(C. E. Gadda).
Qui il
punto è altro, il giudicante in toga su pulpitante scranno statuì una
circostanza che nemmeno i più aspri spregiatori delle virtù italiche possono
denegare ai membri della sua pura razza, ossia «d’aver un culo, sotto il quale si
potesse collocare una seggiola» (C. E. Gadda). E dunque via, fuori, raus: le terga forestiere tornino oltralpe e oltremare a poggiare su acconci nudi rami o su cavi tronchi alla deriva, onde non sia mai che le nostrane profumatissime
seggiole siano offese da miasmi barbarici di selvatiche scoregge, dacché
notoriamente solo le natiche di quelli della pura razza, nonché callipigie, son
debitamente nette d’ogni oltraggioso tanfo.
Amen