martedì 24 gennaio 2017

Cupidigia e brividi

Anagrammi in versicoli
a Camillo Sbarbaro

Brassaï, Juan-les-Pins, Folies-Bergère, c. 1932





































Lambirà lo scabro
rosa, calmi labbro
ma rabbia scrollò
morsa, bolla, braci.
Lombra libra caos,
là sbarca il rombo:
là bramò, lì sbarcò.




lunedì 2 gennaio 2017

Ragne tenaci di sguardi




Le finestre serrano misteri e tradiscono segreti destinati a deflagrare nell’evidenza. Di volta in volta, e talora contemporaneamente, esse servono per guardare e per essere guardati, limite tra il dentro e il fuori che insieme unisce e separa. Luoghi d’attesa e silenzio o di svelamento e rumore. Soglie dell’interiorità e, parimenti, soglie dell’esteriorità. Fuggitivi passaggi provvidenziali e furtivi accessi d’amanti. Segni di prigionia e varchi di libertà. Tabernacoli di serenate e suicidi.
Marcel Proust aveva foderato di sughero la sua camera da letto per far tacere il rumore del mondo, eppure vi doveva essere una finestra in quella camera, se un mattino vi penetrano dalla strada i gridi degli ambulanti di Parigi, artigiani e venditori, intrecciando una «ouverture per un giorno di festa» che propizia il pastiche forse più vertiginoso della Recherche, nel quale, come in un arabesco, le cantilene popolari dei cris si sovrappongono ai recitativi del Boris Godunov, o ai motivi musicali dell'abbandono nel Pelléas di Debussy che ricordano Rameau, in un’orgia di doppi sensi erotici che alzano il velo sulla incombente e ineluttabile Gomorra (La Prigioniera, III, 508). Del resto, è da una finestra socchiusa a Montjouvain ch’egli, nascosto dietro un cespuglio, assiste all’incontro d’amore saffico di Mademoiselle Vinteuil con l’amica del cuore (Dalla parte di Swann, I, 194), che si fissa quale scena primaria, in qualche modo fondativa del suo tormento d’amante, riaffiorando tanto tempo dopo, al culmine della sua disperazione, nelle ultime pagine di Sodoma e Gomorra II, per rivelargli pienamente il sapere angoscioso del vizio che minaccia Albertine, ossia il suo mondo amoroso.
Sebbene in chiave metaforica, che le finestre fossero fatali, era già noto a Petrarca:
Io avrò sempre in odio la fenestra
onde Amor m’aventò già mille strali,
perch’alquanti di lor non fur mortali
ch’è bel morir mentre la vita è destra
(LXXXVI)
E tuttavia, questo proteiforme oggetto linguistico, prende una ancor più inquietante rotta se il nocchiero è Camillo Sbarbaro, che in Fuochi fatui ne coglie, per via aforistica, un’ulteriore pertinenza metaforica:
«Per due finestre è abitabile il presente, la finestra del passato e la finestra del futuro: l’una finta, l’altra cieca.»
Ma Camillo Sbarbaro, in verità, assegnava un ben più grande valore per nulla astratto alle finestre, tanto da comporne un elogio appassionato, intessuto d’una flagrante concretezza, direttamente attinta al comune vissuto, così marcatamente materiale da diventare, come tutti i suoi testi più sensuali, senz’altro esemplare.
Ecco le distillatissime parole di un suo Truciolo mirabile, cari tre lettori, qui proposte a guisa di ricompensa della benevola pazienza che usate verso le mie inutili scritture, del resto erratiche molto e di poco momento.


«Finestre, ricchezza dei poveri.
Rimediano i poveri all’angustia degli interni, annettendovi ciò che dalla finestra si vede; fan posto in casa, per essa, ai due beni più grandi, il sole e la strada.
Alla finestra vivono. Non paghi d’accorrervi ad ogni respiro che lascia il lavoro, nel suo vano, potendo, recano anche questo; e l’uomo del deschetto o le donne che agucchiano, a rallegrarsi e a dolersi, sulle mani sole asservite levano i volti in libertà.
Alla finestra fan l’amore. Da casa a casa e dalla villa alla strada, fili di sguardi tesson ragne tenaci; e non v’è occhiata che impegni, o lasci pensoso chi passa, più di quella che sfreccia, socchiudendo la persiana, la fanciulla che si ritrae.
Vi viene col cannocchiale l’uomo che in terraferma ormai traballa come su coperta; illuso di riconoscere nel guscio che passa al largo la petroliera della gioventù. Dell’oggi lo consola, col passato che gli resuscita, lo spettacolo delle navi che vanno sempre per il mare.
Per la finestra s’informa del mondo la vecchia che vi attende la fine: saluta le conoscenze, prende parte ai giuochi dei ragazzi. Grazie alla finestra, ha qualche cosa anche lei da raccontarsi la sera, una curiosità da levarsi il dì dopo.
Fortunati! Per gli occhi escon di sé; coi casi degli altri variano il grigio dei loro; nella vita di tutti scordan la propria.
E se poco mondo scopre il povero dalla finestra, quanto meno tanto più evocatore. Il mare non è mai grande come dove di lui parla solo la battima che non raggiunge la barca; l’estate non è mai così intensa come quando la compendia una cicala, una frasca che sopravvanza una cinta...
Tanto che qualche volta a qualcuno, nell’attimo che si affranca, la casa alle spalle si mura, blocco di inimicizia; ma ancora potrà volgersi ad essa e senza rancore guardarla, se, nell’attimo, davvero il suo cuore sarà scattato oltre la strettoia dei tetti col grido della rondine; salpato, con la barca che varano, chi sa per dove sul mare...» *


 *Camillo Sbarbaro, Trucioli (1930-1940) in L’opera in versi e in prosa, Milano, 2001, pp. 335-336
Le citazioni di Marcel Proust sono tratte dall’edizione Mondadori-Meridiani di Alla ricerca del tempo perduto