lunedì 26 dicembre 2016

La musa frugale

Jan Vermeer, 1657 ca.





























Si riparano istanti.
Chicchi di grandine notturna,
gusci d’attesa, lampi perplessi
e insonni barlumi
alle finestre socchiuse
in ascolto di sirene senza voce.

Si riparano istanti.
Barbagli sortiti da fessure
cariate che sospirano
antiche trafitture,
rivoli che mormorano sommessi
l’inganno dei rimpianti smessi.

Si riparano solamente istanti,
non giorni oppure ore
svaniti nell’errore,
solo attimi esitanti
su transiti chimerici e tramonti,
solo fugaci istanti;

davvero poca cosa:
non può guarir la musa
più pene di una rosa.





Tratto da Alla svolta del vento


mercoledì 21 dicembre 2016

L’uomo folle

Ph. Robert Doisneau

























Le drammatiche vicende di Aleppo, Ankara e Berlino, per tacere l’intero rosario dei massacri recenti, insieme ad un sentimento di sgomento, destano un rovello più radicale e pernicioso sullo spirito del tempo presente. La vita pubblica, ben al di là dei meri fatti di sangue, pare interamente piegare verso una deriva di delirante trionfo dell’osceno, che investe ogni sfera dell’agire. Il declino della misura, il disfacimento implosivo della proporzione, la perdita di senso del nesso mezzi-fini sono le macerie del sabba della dismisura imperante in cui il deforme ha acquistato uno statuto autonomo, poiché non necessita più nemmeno del suo termine reciproco di riferimento. Se non che, sul punto di riaprire il profetico paragrafo 125 della Gaia scienza di Friedrich Nietzsche, è riemersa dalla memoria l’ultima pagina de Il Sublime (Perì hypsous) di Pseudo Longino. Così, dopo averla riletta, ho capito che non potevo evitare di condividerla, dacché essa valeva ben più di qualunque superflua ciarla ulteriore.

«Ottimo amico, è facile ed è tipico dell’uomo disprezzare sempre il presente. Considera tuttavia se a rovinare le grandi nature sia non già la pace universale, ma molto di più questa guerra sconfinata che avvince i nostri desideri; e, oltre a ciò, per Zeus!, queste passioni che oggi imprigionano la vita, devastandola e travolgendola del tutto. Infatti l’avidità di ricchezza, da cui ormai siamo tutti insaziabilmente contagiati, e la lusinga dei piaceri ci fanno schiavi e anzi, per così dire, mandano a picco la nave della nostra vita con tutta la ciurma: perché l’amore del denaro è un morbo degradante e la dedizione al piacere è un morbo tra i più ignobili.
Per quanto vi rifletta, io non riesco a scoprire come sia possibile a noi che tanto rispettiamo e anzi, per dirla più schietta, idolatriamo le ricchezze smisurate, non accogliere, quando s’insinuano in noi, i vizi che sono loro congeniti. Infatti a una ricchezza senza limite né freno, s’accompagna, s’attacca e, come dicono, procede affiancato lo sfarzo; e, appena la ricchezza spalanca le porte delle città e delle case, lo sfarzo vi s’introduce subito e vi coabita. Col tempo questi vizi, a dire dei saggi, fanno il nido nelle nostre vite e, giunti velocemente alla procreazione, generano l’avidità, l’alterigia e il lusso: figliolanza tutt’altro che spuria, ma anzi più che legittima. E se qualcuno lascia che questi parti della ricchezza giungano a maturazione, essi fanno nascere subito nelle nostre anime tiranni spietati: la violenza, l’illegalità e la sfrontatezza.
È infatti inevitabile che così accada tutto ciò: che gli uomini non sollevino più lo sguardo e che non facciano alcun conto della gloria futura; che, nel ciclo di questi mali, si compia a poco a poco la rovina della nostra esistenza; e che la grandezza dell’anima appassisca e si spenga senza suscitare alcuna rivalità: quando essi ammirano le loro parti mortali e non si curano di fare crescere le loro parti immortali.
Infatti chiunque si sia lasciato corrompere prima di emettere un giudizio non può riuscire giudice libero e integro delle cose giuste e belle (giacché è necessario che a un arbitro venduto appaiano belle e giuste le proprie cose, <ingiuste e brutte le cose altrui>). Se dunque arbitri di tutta la nostra vita sono la corruzione, la caccia ai morti a noi estranei e le insidie tese ai loro testamenti; se, pur di trarre profitto da ogni cosa, ciascuno di noi si vende anche l’anima, reso schiavo della sua stessa <avidità di ricchezza>; in una così letale rovina della vita, crediamo che ci sia ancora rimasto qualche libero e incorrotto giudice delle cose grandi e protese all’eterno? Un giudice che non si lasci vincere dalla brama di arricchirsi?
Ma forse, visto che siamo fatti così, per noi è meglio essere asserviti anziché essere liberi. Poiché lasciate tutte quante libere, le nostre cupidigie, come uscite da un carcere, si disfrenerebbero contro il prossimo e inonderebbero di vizi il mondo intero»*.

* Pseudo Longino, Il Sublime (Trad. it. Giovanni Lombardo), Aesthetica edizioni, Palermo, 1987.


sabato 17 dicembre 2016

Sono le cinque, eppure non ho voglia di tè. Esercizi


                                     Qui giace un che per troppo amor di fiche
                                     di sé, giovane ancor, nutrì formiche
                                     Franco Fortini, Composita solvantur

 
Robert Doisneau


Anagrammi illustrati e no
Ultraesile, elusi l'arte = Saul Leiter
Jean 1948, Saul Leiter











Pulsa Orfeo = Paolo Fresu

Epuri dèi = Euripide
Bisogna «salvare dall'onde» dell'oblio «Salvador Allende»
e anelò un gemito = Eugenio Montale

Cleopatra, parla teco Paracleto?
Guido Cagnacci
















I sogni di «Fernando Pessoa»
«Passano ferendo» e «Ferendo passano» 
Fernando Pessoa 1894
















Diciannove giugno = «di' vengo giunonica?»
 
Tiziano, Venere allo specchio 
















Estravaganze
doppie letture
Chiamo arcani chi amò arcani?
Filante grido di guerra: Non supplì Carlotta, non suppplicar lotta 
Uno è per sempre e molti pure meglio: ve n'era di amanti, venera diamanti
Arte mi sia gentile schiava > Artemisia Gentileschi ava
 
Allegoria dell'inclinazione












palindromino
Anela Malena

monoconsonantico
Osa sia sassosi sessi sia ossessi assisi, si sa

monovocalico
da oreficeria astrologica = oro scopo

Santa Cecilia!
Il pubblico si prostrò alle parole del concertista: «Ora Prokof'ev»


Versicoli
Porta Maggiore
Da l'Infernetto verso Centocelle
Inebriati da Mariagiovanna
Riuscimmo infine a riveder le stelle

Ora D'aria
«Il dress code della Bignardi,
ispirato a giovanardi,
contro ignude ed empie gnocche,
tumefatte e rosse bocche
contro spacchi e scollature,
è rigor di sepolture»,
protestò la Santanchè
più rigonfia d'un bignè.


martedì 6 dicembre 2016

Mi spezzi il Cuore?

La prima firma della satira italiana, nelle ultime settimane, ossessionata dal famigerato referendum costituzionale, dalle molteplici gazzette sulle quali spezza il pane delle sue sopraffine spiritosaggini, pubblica articoli fondati su un argomento apparentemente formidabile.
Poiché lo schieramento del No era un insieme davvero eterogeneo, un uomo saggio non avrebbe potuto che schierarsi per il Sì, a prescindere dal merito della riforma costituzionale e a prescindere dal giudizio politico sul governo Renzi. Tale argomento, che si potrebbe definire "dell'accozzaglia", invero, pare davvero esile, se non palesemente sofistico ed anzi logicamente inconsistente, ma del resto egli, ignorandone la lampante fallacia, l'assevera con rancorosa strafottenza.
Se l'uomo saggio, a torto o a ragione, avesse ritenuto la riforma, nei suoi contenuti, un poco edibile patè ai verdini frutti di boschi, mai avrebbe potuto essere convinto del contrario solo perché tale patè era considerato parimenti disgustoso da una orrenda tribù antropofaga dell'Amazzonia, per la stessa ragione che, mutatis mutandis, posto che Hitler sia stato vegetariano, non ne deriva che tutti i vegetariani sono nazisti.
Se l'uomo saggio, inoltre, indipendentemente dal merito della riforma, pur in base a valutazioni solo politiche, ossia l'inesistenza di una credibile alternativa parlamentare disponibile, avesse giudicato di non poter esprimere, a torto o a ragione, il proprio consenso ad un governo che ha abrogato l'art. 18, ridotto in schiavitù a gettone i lavoratori e gestito con le mance la questione drammatica dell'ineguaglianza sociale, analoga inefficacia persuasiva avrebbe esercitato l'argomento dell'accozzaglia.
Certo, è ingiusto pretendere da un giornalista di satira, faticose e serie riflessioni politiche. E tuttavia, per la sua meritata fama di perspicace acutezza, non ci saremmo affatto stupiti se egli non si fosse sdraiato su argomenti meno frustamente retorici, intinti nell'astio livoroso di cortigiani e spin doctor da quattro soldi. Poiché con la sua riconosciuta  intelligenza egli avrebbe potuto senz'altro comprendere ben altro. E cioè, a mero titolo d'esempio.
Le norme costituzionali sono regole del gioco e perciò fondano la loro legittimità sulla qualità eterogenea e sulla quantità ampia del consenso ottenuto.
La carta costituzionale non può essere ridotta a carne di porco per manovre politiche congiunturali.
Tutte le elezioni di medio termine sono infauste per le forze governative.
Se per scriteriata presunzione (cit. Massimo Cacciari) il giovanotto toscano ha ritenuto di giocarsi la carta del referendum costituzionale, con un infelice azzardo, al solo scopo di ottenere una personale legittimazione plebiscitaria, egli ha anteposto il suo destino politico all'interesse del paese. Sicché del vuoto istituzionale determinato dal prevedibile risultato referendario, la prima firma della satira italiana dovrebbe chieder conto solo al giovanotto toscano, risparmiando agli elettori e ai lettori le sue rampogne divertenti ma, per una volta, tutt'altro che spiritose.
E lasciamo in pace Rosa Luxemburg, e soprattutto la povera Inter.