giovedì 2 giugno 2016

Tutto nel mondo è urla








































Più saggio è tacere ciò che sarebbe sgradevole dire, salvo che non sia a rischio un qualche valore fondamentale ovvero che l’indignazione non tracimi oltre il limite del pudore. Nulla più dei valori artistici è soggetto alla mobilità diacronica delle pratiche sociali; e d’altronde si assiste al fiorire di geni che lasciano sgomenta perfino la famosa lampada, ancorché opulenti di fascino mondano e di vasto seguito per i loro artifici ridicoli circonfusi dell’arbitrio più infondato e ovvio.
Prendete Sofocle del demo di Colono, autore di capolavori immortali che hanno interrogato i più alti ingegni d’ogni tempo, mettetelo nelle mani di un superbo teatrante di mondo, parimenti saccente e borioso, ne otterrete un granguignolesco intruglio offerto in sacrificati e latranti berci dell’alta scuola dell'enfasi strillona.
Del resto, Elettra, com’è evidente per una costante etimologia da mercati rionali, deriva il suo significato dall’elettricità, sicché la sventurata dovrà essere agitata, eccitata, irrequieta, svalvolata, contagiando per contatto gli altri personaggi, onde il registro inevitabile dell'intera recita non potrà che essere urlato a squarciagola. E poco importa se la veemenza non si distingue dalla furia e l’arroganza dalla disperazione, o l’esultanza crudele dall’autocommiserazione, o l’impeto dal sussiego e l’ironia dal sarcasmo sprezzante. L’imperterrito sgolato ululato monocorde restituisce il senso isterico del tragico, con effetti strazianti sulla uallera di attori e spettatori.
E importa ancor meno che Sofocle abbia sottolineato l’acme emotivo dell’agnizione alternando al pathos gioioso di Elettra, espresso in metro lirico con strofe antistrofe ed epodo, la pacata razionalità di Oreste nella forma del "prosaico" trimetro giambico (Marzia Mortarino); il novello teatrante geniale se ne fotte, e risolve il climax, con coerente sicumera granitica, sommando le due voci all’unisono in uno sguaiato barrito sovracuto, rialzato di due ottave per celebrare con la debita enfasi il fatale strofinamento agognato.
Intanto dall’Ade via Acheronte giunge una soffocata eco sofoclea, forse sorridente e forse no, rivolta a guisa d’apostrofe anagrammatica all’artefice di cotanto strazio: «Vi raglia e bela».
Da ultimo, consumate le vendette di rito, tra alti strepiti e fragorose cagnare finali, ecco la cavea che s’alza commossa e tributa un’ovazione plaudente ai guitti in trionfo. Ma come?! Che fate? Ma perché?!
E niente, mutatis mutandis, aveva ragione Falstaff, ahimè:
«Tutto nel mondo è urla».


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