domenica 21 dicembre 2014

Notte e sogni

Imogen Cunningham, Unmade bed




















Un letto sfatto sembra la tua vita
di cere rabescato secche e fuse
di disilluse ormai candele spente
tra sperse coltri di ferite esangui.

Un delta di sospiri illagrimati
tra spume di deliri inabissati
nell'allegria insensata dell'oblio
di volti infranti di sguardi traditi.

E quei frammenti sparsi sul guanciale
son schegge sulla chioma dei tuoi sogni
nel freddo amico e concavo giaciglio

che affaccia sull'abisso da un crinale
e guarda lo stupore che lo solca
come torrente che ne bagna il ciglio.

giovedì 13 novembre 2014

Epentesiade

Il 25 gennaio 2014 veniva alla luce il post Specchio delle mie trame nel quale si dava conto del gioco enigmistico delle epèntesi che da qualche mese, con un'inclita brigata, si giocava allegramente su Twitter.
Nel corso dei mesi successivi, altri amici, accomunati da una perversa inclinazione al sadomasochismo enigmistico più efferato, si sono aggiunti, sia nella veste di solutori sia nella veste di autori, con effetti davvero eclatanti. Già l'inclita brigata annoverava menti finissime con smisurate capacità di calcolo, senonché i sopravvenuti erano dotati di virtù del tutto analogamente mostruose. Insomma s'adunava un eteroclito simposio pitagorico che autorevolmente presidiava ogni campo dello scibile fisico, metafisico e financo patafisico. Ne son seguite battaglie furibonde, trionfi memorabili, gesti eroici, primati mirabili: un'epopea che ha intasato le notifiche e talora tolto il sonno, pur tra viole e fiori.
A tener desto l'uzzolo perverso ho contribuito proponendo, con regolarità settimanale, epèntesi prefestive e festive agli scatenati giocatori che vi si avventavano facendole furiosamente a brani, affinché nessun enigma restasse inespugnato. D'altra parte esse si aggiungevano a quelle proposte da altri valorosissimi giocatori, tutte belle, alcune inarrivabili come i rifugi delle aquile, altre ingannatrici e lastricate di perfidia, con aumenti esterni vietatissimi o false sillabazioni. Ma quando infuria la sfida più cruenta, à la guerre comme à la guerre, ogni mezzo diventa lecito. Sicché di tutto abbiamo giocato, gioiosamente e selvaggiamente.
Ora che mi preme una pulsione di latenza, ovvero di fuga, com'è nella mia ventosa natura, dacché ogni cosa nasce e muore del resto, sento tuttavia il bisogno di trattenere almeno l'odore di quei ludi appassionati, condivisi con tante persone davvero straordinarie. Trascrivo qui, pertanto, quelle mie epèntesi, non già perché abbiano in sé un qualche valore, ma così semplicemente a guisa di nudo chiodo cui appendere la bella memoria delle ore trascorse in mezzo ad una comunità folle, geniale, colta, raffinata e, in una parola, splendida. E se il chiodo ancor vi offende, diremo piuttosto a guisa d'una madeleine proustiana.
I miei tre lettori che non temendone il tormento, con inopinato ardimento, vorranno affrontare ora il cimento, quale premio, troveranno in calce le soluzioni. Per non smentire, nondimeno, una meritata fama di malvagità, ho provveduto ad accatastare debitamente le soluzioni, si capisce, alla rinfusa.


1
La disse 'l Sommo in su 'l lito di Chiassi
Ch'ogne dì torna ancora sui suoi passi
(6,7)

2
Di meraviglie sporadico porto
Ognor canta la gloria del risorto
(4,5)

3
Lo cantò Giacomin acerbo o frale
Ombra dell'antro che né val né cale
(4,5)

4
Horribile et orrido e pur luttuoso,
Aspro rovello d’infelice sposo
(4,5)

5
D'enigma amante o aedo fin de la pelota
Or l'ombelico frema e l'anche scuota
(4,5)

6 montaliana
Francesi inglesi ed altri tre l'han caro
Alza tra le bandier l'aroma amaro
(4,5)

7
In Messina fu testo lagrimato
Gorgo de' rari dal mantovan cantato
(4,5)

8
Deserto aprico gioia de' bambini
Stava con Pergolesi e pur Rossini
(4,5)

9
Di passo o di cavalleria mai vana
Tra Ipanema e Copacabana
(6,7)

10
Han collo stretto trasparente e lungo
Su per l'Aurelia in fronte al mar vi giungo
(5,6)

11
Fratello contadin sanguinolento
Insiem con gli altri tre fa gran spavento
(5,6)

12
Eunice solca il mar dell'armonia
Vetta di fresca e giovanil malia
(4,5)

13
L'opposto d'essa genera disagio
Per la più bella ha da venire maggio
(6,7)

14
Giove lo fu per purpuree note
Se greve infin t'abbatte e scuote
(4,5)

15
Val qual tensione per Platone e Omero
Ma non fuggirlo proprio sotto un pero
(4,5)

16
La sposa e l'ammazza un Walter spiccio:
Sotto ogni incanto cela un capriccio
(5,6)

17
Senza delizia è croce peggiore
Dal monte bianco viene la migliore
(4,5)

18
S'erge e rimira su derive e approdi
Di stelle notte e dì pagando godi
(6,7)

19
Celebre pugna del fumo e del vento
Derivato lemma del primo cimento
(5,6)

20
Di suoni puri e fraterni fremente
Quelle del viso non costano niente
(4,5)

21
Noiosa litania che manco ciurla
Viva o morta ma fu di Marco culla
(5,6)

22
Quel che fu leggendario ed agognato
Da folle grazia pare sollevato
(6,7)

23
Al borsalino dell'agrigentino
Falce e martello, canto e mandolino
(7,8)

24
L'altrui dissolutezza in capo porta
Gattara che non sa, nel guardo assorta
(4,5)

25
Di piccola virtù ridente e alata
Nero terror sebben un po' sbiancata
(3,4)

26
Per qualità apprezzate e per valore
Son per Francesco l'incarnato amore
(7,8)

27
Stava la strega santa nell'ardore
Come la poesia che presto muore
(7,8)

28
Disputarne è tutt'altro che elegante
Odiato da fanatico o furfante
(5,6)

29
Per pochi dì alacre officina
Tocco di grazia della parigina
(4,5)

30
Lo è qualcosa ch'incresce ed atterra
Urlo di gioia della grande guerra
(6,7)

31
Si mostra il labbro enfatico
Diversamente identico
(5,6)

32
Nessun d'astuzia qual preda la tolse
Mostro a più teste ch'Europa travolse
(5,6)


Veto/Vento, Atro/Altro, Nina/Ninfa, Ricca/Riccia, Pineta/Pianeta, Samo/Salmo, Mare/Madre, Saba/Samba, Contesa/Contessa, Alce/Alice, Alto/Alito, Fato/Fatto, Smile/Simile, Fiale/Finale, Pena/Penna, 7/8, Carica/Carioca, Baco/Basco, Caino/Canino, Vaso/Vasto, Mitico/Mistico, Parità/Partita, Gusto/Giusto, Tono-Tuono, Triste/Trieste, Albero/Albergo, Oca/Orca, Lagna/Laguna, Troia/Troika, Canne/Canone, Stimate/Stimmate, Bose/Borse



venerdì 31 ottobre 2014

La ballata di Reyhaneh
























Il 25 ottobre 2014, una ragazza iraniana, Reyḥāneh Jabbāri,
condannata per aver ucciso il suo stupratore,
è stata messa a morte per impiccagione
nei sotterranei della prigione di Gohardasht.
Alla madre Sholeh, e a tutti noi,
ora rimane solo l’amara memoria delle belle parole
della sua ultima lettera.



Datemi al vento perché via mi porti
onda di luce che fugge dai morti

Cara Sholeh che i miei sogni nutrivi
complice amica dei giorni festivi
Strozza le lacrime dei tuoi dolci occhi
serba soltanto i miei scarabocchi

Datemi al vento perché via mi porti
onda di luce che fugge dai morti

Nell'alba cruda di desolazione
i fili tagliano di un aquilone
Barbari preti d'un dio dissennato
orco malvagio di sangue assetato

Datemi al vento perché via mi porti
onda di luce che fugge dai morti

Voglio scalciare sul vostro buon cuore
morto oramai di stupido orrore
Meglio insepolto e fiero pendaglio
che prostituta del vostro serraglio

Datemi al vento che ora mi culla
sopra una nube sospesa sul nulla







Lumi, potete piangere di Giovanni Legrenzi 1626-1690

domenica 19 ottobre 2014

E lucean favelle. Esercizi


Ricordando Cecco Angiolieri che già in anagramma proclama:
«Caccio religione»

Uno strazio è una vita orba di vizio
O campione d'arte e sdegno
D'ogne grazia sempre pregno
Vibra in tua lira toscana
Corda pazza siciliana?

Alla donna di Cecco
Sia lodata la Becchina
Mite dolce bianca e fina
Che di Cecco ha pietade
E lo nutrica di biade
Ma lo batte pur con l'asce
Se frequenta le bagasce



Tmesi

Sulla sua tomba basterà il nome: Ben ito
Camillo Sbarbaro, Fuochi fatui (1940-1945)

Oggi alle 7:00: o gialle sette

Freudiano esempio: es empio

Permeo spie: per me ho spie

Oracoli d'Apollo: ora coli da pollo

Evita: è vita

Sciamano: sci a mano

Salambò: sa l'ambo

Odisseo non disse: o disse o non disse

Gustave Courbet condanna con fermezza le proteste delle piazze spagnole contro la mona archia



Neologissimi
per Franco Chirico

Portolano: codice di condotta dei lavoratori Fiat secondo Marchionne

Arrancare: cruento rito bucolico di arare con l'anca

Egro: malato e fiacco solo per certi versi

Onanismo: corrente filosofica contrapposta al dualismo

Bullone: scoscendimento plofondo e dilupato

OmBra: mantra braidese

Toplessia: coma vigile con forte dilatazione oculare per la panica scoperta delle tette



Apoftegmi

Non ti manca niente per essere infelice

Uomini e buoi son cornuti eroi

Ara il tuo nemico

Non fare promesse che puoi mantenere

In dubio pro epicureo



Anagrammi in versicoli

Marilyn Monroe
Non erra il mimo
L'inane mormori
Rime non morali

Perché tanto di stelle
che della notte presti
oltre plastiche tende
stelle di tanto perché

Solo et pensoso i più deserti campi
E oso sospiri come stupendi petali

Telemaco
Tace elmo,
Come tale
Cela, temo,
Età colme:
Teme calo
O c’è letam.

Duetto da L'incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi
Pur ti miro, pur ti godo: Umori troppo turgidi



Scampoli

Arbasinante: In Chiasso per un chiasso sordido un assurdo chiasso l'assordò

Cùpido incupì Cupìdo in cupi incubi

Tanto va la gatta ad Argo che ci lascia la steatopigia

E quei masochisti che ogni volta per lavarsi fanno un bagno? Muratori improvvisati!

Chi muore giace e chi vive si fa Aiace



Refusi

Ipnocchio

In Patatagonia di Laura P. Chatwin

Pacem in tetris


Bambino: nome comune di cosa
(Aldo F.)




E lucean favelle
Disse la stella ad altre sue comari:
Basta vicenda in questo buio mare
Vo per diporto alle Baleari

venerdì 3 ottobre 2014

Stillan e brillano

Esercizi in onore di Antonella Sbrilli

Sabato 27 settembre 2014, verso mezzanotte, esaurite le abluzioni abituali, con animo candido decisi di coricarmi di buonora per poter compiere lucidamente il settimanale esercizio spirituale che mi attendeva sornione sul comodino. Si trattava della lettura della rubrica Lessico & Nuvole che la prima firma dell'enigmistica italiana tiene su un supplemento settimanale dal nome robinsoniano, che nondimeno ricorda la passione di Cristo nostro signore, ma del resto affatto irripetibile, salvo i debiti riti apotropaici.
Con la consueta magistrale asciuttezza, la rubrica dava conto di anagrammi illuminanti, segnalando la personale passione dell'autore per gli anagrammi in verbis singulis, che con ogni evidenza rappresentano il culmine di quel perverso gioco.
E come dargli torto? L'anagramma è già di per sé un gioco terribile e beffardo perché, con una semplice permutazione di lettere, pretende di cavare un senso da un nome che un senso non è tenuto ad avere. Esso pertanto è una sfida all'insensatezza, donde tuttavia le menti più brillanti tornano vittoriose, riportandone trofei di incastrata e sapiente bellezza. Non è del resto da tacere che spesso la sfida anagrammatica reca frustrazioni sanguinose: avete presente i dispettosi scarti incoercibili?
Nondimeno, ero a metà dell'esercizio spirituale settimanale quando, squillino le trombe e rullino i tamburi, appare una speciale menzione per Antonella Sbrilli, quale autrice di anagrammi memorabili e titolare di un autentico capolavoro:
«Premoniziona» = Piero Manzoni.
Qui la lettura s'increspò in uno spasmo d'incontenibile estasi, precludendo alla palpebra ogni moto ulteriore. Proprio lei, la generosa e acutissima nostra compagna di giochi, dunque, riceveva un così autorevole riconoscimento! Mamma mia che gioia, ma senza alcuno stupore, avendo già sperimentato il suo vasto ingegno. Incontrovertibilmente. I miei sogni di quella notte furono illuminati dal riflesso radioso del suo meritato trionfo.
E tuttavia, alle prime luci dell'alba, intorno a mezzogiorno, mi colse l'urgenza di darne conto ai posteri, ossia ai miei tre lettori, sacrificando senz'altro esercizi anagrammatici in suo onore.
Non prima d'aver menzionato il suo ludo finora insuperato, consistente in una quadrupla crasi funambolica: Chopinauerbach, un superuomo sortito dalla mente di un dio maggiore al cui confronto perfino Zeus sembra uno zotico delinquente.
Da ultimo, mi piace ricordare che la festeggiata compagna di giochi è stata la musa della mia epèntesi forse più bella:
        Eunice solca il mar dell'armonia
        Vetta di fresca e giovanil malia
        (4,5)
È inutile dire che dell'epèntesi di Eunice la dedicataria fu anche la rapidissima solutrice.
Di seguito propongo gli esercizi in suo onore che metteranno il sigillo al mio disonore. Amen

In una parola
Digiunerò = Guido Reni
Documentale = Claude Monet
Predominanti = Piet Mondrian
Spopolabisca = Pablo Picasso
Oriniamo = Joan Miró (Il neologismo sognante «oniriamo», no?)
Saturabombe = Umberto Saba
Minimolecolari = Mario Monicelli

Narrativi
Nere gru: aerei stupori = Pierre-Auguste Renoir (sconveniente = “Esagererei un prurito”)
Arbitrò burle = Alberto Burri
Di lì fissi poppe = Filippo De Pisis
Oggidì corichi ore = Giorgio De Chirico
Dai, godimi a melone = Amedeo Modigliani
Fa cancri snob = Francis Bacon (dissento!)
Globi a calamo = Giacomo Balla
Rosai minori = Mario Sironi
Angeli neri in bronzo? = Gian Lorenzo Bernini (Antigrammatico)
S'amava oca o cigno = Giacomo Casanova
Addolora glicemia = Carlo Emilio Gadda
E dicon sacra isola? = Leonardo Sciascia
Dragaci o Musil = Claudio Magris
Sbranò elaborati = Alberto Arbasino
È criminale darla = Andrea Camilleri
Celiò mali minor = Mario Monicelli
Rendi felici fole = Federico Fellini
Nutrì fosca truffa = François Truffaut
Menti tiranno = Nanni Moretti

Antigramma
Acuì la funzion = Nunzio La Fauci
Telegramma (milanese)
Ghisa battezza freno = Stefano Bartezzaghi

Ad Antonella Sbrilli
Bella, non strillai,
Sballino tranelli,
Stillan e brillano.



Ps. Ps. Chiedo anticipatamente venia d'ogni eventuale errore sfuggito alla correzione. Inoltre, poiché non ho controllato alcunché, riconosco il copyright degli anagrammi presentati a chiunque ne rivendichi il possesso; del resto confesso di essermi avvalso di ogni mezzo lecito e illecito: carta penna e calamaio, matite e pizzini, motori anagrammatici, letture irriferibili, coltellini, pinzette, ricordi vaghi, lime asce e financo martelli, però, si capisce, colorati e belli.

Post scriptum del 4 ottobre 2014
A conferma, invero superflua, del suo gran talento, è giusto annotare che Antonella Sbrilli ha commentato gli esercizi in parola con un auto-anagramma che merita d'essere sottratto all'oblio, senz'altro: «Sibilla nell'antro».
Come volevasi dimostrare

sabato 13 settembre 2014

Fughe e Miraggi


La fotografia è essenzialmente sguardo, tuttavia il molteplice uso di essa nei più svariati modi e campi, obbliga a determinare, di volta in volta, la natura specifica dell’immagine fotografica offerta alla nostra fruizione. Semplificando, talvolta essa è meramente riproduttiva, talaltra essa è produttiva; nel caso della mostra fotografica di Filippo La Marca, una siffatta polarità pare doversi revocare in dubbio, poiché prevale una contaminazione che trascende una misura percettiva certa.
Appare anzitutto evidente la scelta di fondo: l’autore non vuole fingere artifici ma restare uno sguardo sospeso sull’accadere delle cose, solo che di esse tende a cogliere il segreto più labile, la fragrante e fragile contingenza che passa in un istante.
Come nel Gioco a nascondere di Lucio Piccolo, le immagini proposte sono
«(...) ingannevole gioco,
equivoco d’ombre e barbagli,
di forme che chiamano e
negano un senso» (I 36-39).
Non l’arbitrario gesto dell’autore, ma solo la luce nella sua prismatica creatività s’incarica di riformulare le cose, offrendole ad una plurale percezione immaginaria di folate di raggi e di perenni transiti, fino al punto da generarne identità ulteriori, ossia una moltiplicazione di livelli di realtà delle nude cose che per illusori e mutevoli echi di luce proiettano allucinate forme, fatte della stessa abbagliante materia dei miraggi.
Tale esito, onde «tutto quanto il ver pongo in oblio» (Leopardi), si compie per lo straniamento di fughe visive ribadite per contrappunto da rispecchiamenti speculari, iterazioni ottiche, fantasmagorie, riflessi, aeree e furtive ombre e iridescenze incuranti d'ogni forma conosciuta.
L'insistita concentrazione dell'interesse visivo su parti e frammenti, ben lungi da un premeditato uso retorico della sineddoche, rivela piuttosto una misteriosa fuga, che pare trovare il suo rifugio espressivo nel particolare, laddove tuttavia tale particolare realizza la compiutezza di stare solo per sé, poiché risulta ormai ignoto il termine del suo rinvio. Questo curioso particolare, in sé compiuto e sradicato da un tutto edenico definitivamente perduto, ha la felice e fugace vita del miraggio, che con perentoria e abbacinante potenza ci appare, ma che altrettanto fuggevolmente scompare.
Solo che questa volta, solo per un istante, Filippo La Marca ne ha saputo catturare il palpito, la transitoria fragranza, quel cuore illusorio di luce che nel suo darsi già dilegua.

Post scriptum
Ogni testo è scritto per tutti, ma più o meno segretamente, ciascun testo fa appello ad un ideale lettore regolativo, a volte vero e a volte immaginario. Non fa eccezione questa parergatica scrittura, il cui lettore regolativo è una persona di raffinata sensibilità e di mirabile ingegno warburghiano. Il molto discutibile valore del testo che si presenta, tuttavia, mi obbliga all'acerbo pudore di proteggerne l'identità sotto le riservate spoglie di una sigla: A. S.






lunedì 25 agosto 2014

Romilde

Accadde un dì nevoso e malinconico che un ambasciatore venne alla corte di sua maestà Ansoaldo, amato nostro re grande e possente. Splendeva già nel cielo e in ogni dove la luce della sua immensa gloria e la sua nobile fama inconcussa correva di valle in valle, valicando i laghi, i fiumi e perfino i ruscelli. La mente e il cuore dei suoi orgogliosi sudditi erano satolli del portento d’un re tanto adorato, così eran sempre pronti a celebrare tanto custode, consapevoli ch’egli era uomo davvero smisurato e forse dio, certamente da divina schiatta discendente e senza dubbio alcuno destinato ad ascendere nel Walhalla, si capisce, il più tardi possibile.
Parlare delle virtù di re Ansoaldo sarebbe compito gravoso per chiunque; perfino lo stagirita, è da credere, penerebbe, ché i suoi costumi esuberavano dalla norma più eccellente della moralità del mondo. Oltre ogni segno liberale benigno e magnifico, smisuratamente temperante, per non dire dell’impetuosissimo coraggio di mente e di spada. Per nulla mai il suo popolo ebbe da levar querimonie o lamenti o rimostranze. E nondimeno, una certa inquietudine serpeggiava da qualche tempo a causa della regina Romilde che esitava a moltiplicare il nobile sovrano, benché da molte lune si fosse consumato l’imeneo.
Tra i sudditi si sospettava ignavia o inettitudine o qualche perniciosa infermità da parte della regale consorte. Perfino i dignitari più prossimi giunsero, con estrema discrezione, si capisce, a chiedere se il re fosse felice, se le nozze avessero reso più liete le sue ore, massime quelle notturne, si spinse a domandare il più impertinente. Ma il re rassicurò tutti benignamente e profuse le opportune lodi per la sua Romilde amata, congedò quell’udienza tradendo invero un certo qual fastidio.
Romilde, donna di crin corvino e frondoso e occhi lucenti, altera e di perlacea pelle, aveva un corpo flessuoso e bellissimo e superbo, tanto che poteva essere solo invidiata o imitata ma giammai superata per grazia e fascino. La sua inarrivabile venustà però, nonché scatenare alla sua vista galanterie rispettose ed altre più celate e turgide illusioni per nulla commendevoli, recava del pari un turbamento d’altronde inesplicabile, nutrito tuttavia come dall’inquietudine d’una perfezione non votata del tutto agli immutabili decreti della natura e della tradizione.
Giunse dunque l’ambasciatore e con lui un corteo assai folto di famili e soldati per seguito acconcio. Furono alloggiati soddisfacentemente gli altri e con decoro e dignità il legato, ch’era uomo giovane e biondo, raffinato ma di tratto assai deciso, e come uso da lunga pezza a stare sopra i molti.
Ignoti erano i temi della sua missione, né annuncio era giunto per tempo a corte; noto, si fa per dire, era solo il committente: un re lontano d’ignota fama e di un inusitato regno, sua maestà Desiderio re di Edonesia.
Benché dunque inattesi, agli ospiti fu usata ogni cortesia onde immantinente re Ansoaldo inviò uno dei suoi dignitari presso l’ambasciatore per recare il suo saluto e l’invito per il banchetto della sera imminente che avrebbe celebrato l’amicizia dei due popoli nel modo più conveniente. Gradiva re Ansoaldo conoscere il nome dell’ambasciatore, chiese il dignitario prima del commiato.
— Dite al vostro augusto reggitore ch’io sono Azzone di Galeazzo, principe di Talamo, duca di Copula, barone di Cunno, conte di Crapula, Collare d’oro dell’Ordine della Verga, nonché marchese del Baldacchino, Grande Nerchia del Regno, Pari di Lancia, Nastro Fiorito della Pompa, cavalier di Renidiferro, da ultimo insignito della suprema onorificenza di Fecondator Optimus nel concistoro della Granmazza.
Così concluse con gusto e gravità l’ambasciatore orgoglioso di enumerare i suoi titoli molteplici e prestigiosi. Solo che il dignitario di Ansoaldo ascoltava con fremiti crescenti e irrefrenabili quell’elenco tanto inverecondo e sconveniente per il suo pio sentire. Superato il primo sbigottimento proruppe pertanto un po’ alterato.
— Monsignore, sappiate ch’io sono il primo dignitario del regno, non l’ultimo maniscalco di cui senza tema ci si possa fare beffe. I vostri nomi sono ambigui, empi e tralignano nell’osceno, affatto irripetibili al cospetto del nostro re santissimo e morigerato. Vi invito a recuperare tosto il sentimento onde conferir con me come s’addice a un gentiluomo, dismettendo i panni del furfante. Suvvia fuori i vostri nomi buoni e veraci, bando al ciarpame genitalizio, limitatevi senz’altro alle voci gentilizie, se nel caso ne vantate.
— Come? Solo il mio ufficio momentaneo di legato vi risparmia da una sicura e dolorosa morte di stocco o di brando. Come osate discutere i miei titoli e la mia dignità e il mio onore? Ciarpame? Sappiate bellimbusto e borioso baciapile che nel mio regno essi al solo annuncio suscitano riverenza e pur terrore e ossequio. Sappiate che decine di avi della mia stirpe gloriosa hanno sostenuto ogni cimento e impresa, sempre a spada tratta, per meritare la corona araldica dei nomi, titoli ed onori del mio nobile casato. Vi vieto pertanto di condurre oltre un siffatto ignobile vilipendio, se volete evitare durissime pene. Tacete, vergamolle d’un marrano pederasta. Tacete e recate al vostro re le mie sublimi e ferrigne credenziali. D’altronde congedatevi prima di subito da me, prima cioè che la furia di Azzone prevalga sui doveri di cortesia del suo ufficio di legato.
Dinanzi al furore davvero incontenibile di Azzone, vacillò prima nel dubbio e poi nello spavento vero e proprio il già tracotante dignitario di Ansoaldo, conte Turibaldo. Egli dapprima pensò di replicare duramente, ma quando s’avvide che il legato aveva davvero portato la mano allo stocco, girò i tacchi e rinviò ad un momento più propizio la vindice difesa del suo onore offeso.
Come le nubi veloci di primavera svariano precipiti nel cielo fino a lasciare l’azzurro terso e immacolato, senz’altro, in un battito di ciglia, così si rinfrancò di colpo l’umore furioso di Azzone, il quale ancor prima che il conte Turibaldo varcasse l’uscio in precipitosa fuga, già rideva a squarciagola tributando alla sua codardia una scia rumorosa d’irrisione sferzante. Turibaldo, non poté non sentire, solo che il supremo dovere di mettere in salvo la sua vita, già peraltro consacrata al suo re, sopì i morsi per le ferite della sua dignità di dignitario.

Corse, sbuffò, si stropicciò lungo il tragitto che lo riportava a palazzo, dove, giunto trafelato, si precipitò dal Gran Ciambellano che era in sua attesa.
— Congiura! Infamia! Complotto! Una grave minaccia, esordì Turibaldo, ci è penetrata in seno. L’ambasciatore! L’ambasciatore! Quale pericolo! Quale scandalo!
— Che accadde? Calmatevi, riferite senza esclamazioni, come volete che capisca? Dite quel che passò con chiarezza, cos’è quest’agitazione? Avete condotto dunque la vostra missione?
— Certo che sì, barone Arialdo, certo che sì. Ed essa è la cagione della mia inquietudine e della mia agitazione. Quell’uomo è un furfante, un facinoroso, un malandrino. Dobbiamo alzare alte mura a usbergo del malcostume ch’egli reca e spande.
— Conte Turibaldo, mettete un freno alle vostre emozioni, volete o no farmi rapporto dettagliato? Ditemi i fatti, allora. Tanto più se v’è rischio e minaccia. Basta coi farfugliamenti, parlate adunque, disse spazientito e al limite dell’ira Arialdo.
Non fu impresa semplice ricostruire l’episodio della missione del conte Turibaldo, il quale raccontava, chiosava, interpolava, s’infuriava, crepitava di propositi, s’indignava, fingeva congetture, si offriva come sicario, compitava manuali di morale, citava i padri della chiesa, discettava di ogni dettaglio irrilevante, gorgogliava di esegesi sottilissime e infine tornava a offrirsi come mandatario dell’omicidio indispensabile del prepotente e obliquo ambasciatore.
Arialdo talora con la carota e più spesso con il bastone, interrogò, rimproverò, schiarì, ricostruì, e infine, con gran fatica, stabilì l’accaduto.
— In effetto v’è da meditare. Se non che il tempo è breve, il banchetto non si può rinviare, dobbiamo giungere con celerità ad una deliberazione almeno provvisoria, osservò gravemente il Gran Ciambellano.
Fu urgentemente adunato un consiglio segretissimo per attingere alla sapienza geografica, alla scienza medica e alle incontrovertibili verità teologiche e morali, ogni argomento acconcio a discernere alla bisogna del caso che occorreva: trivio e quadrivio furono pertanto convocati e consultati con attento e diligente scrupolo. Eppure non si pervenne a pervie e concordi conclusioni.
L’arcivescovo Pudibondo, tra formule dissimulate ed evocazioni esaltate, suggerì di avvelenare il legato prima del banchetto: «vengo con la spada», ripeteva dalle sacre scritture. Altri proponevano di passare a fil di giavellotto l’empio infedele, appena avesse rivendicato al cospetto di Ansoaldo gl’immondi titoli riferiti da Turiboldo. Malgrado l’ardore divampasse in quel consesso talché il simposio sembrò trasformarsi in un certame di assassini di fervida immaginazione, tuttavia Arialdo ammonì i presenti e ordinò a tutti di mordere il freno, poiché gli pareva più fondato e utile condursi secondo il consulto saggio e moderato del nobile Geodato.
Orbene, opinava Geodato, il massimo geografo del regno, che il mondo è vasto e vari sono i costumi, del tutto lecitamente convenzionali i titoli e le lingue e le parole invero, fuor dall'orecchio del re, si capisce.

Mentre Azzone trafficava furiosamente tra gemiti e sospiri nel suo giaciglio divenuto un’ara di piacere, sentì all’uscio un rapido trapestio, indi, preceduto e seguito da un fruscio, un tonfo leggero, onde si riscosse e guardò calmo la fessura della porta. Per terra v’era un piego, in effetti. Discese dal talamo infuocato e lo raccolse. Il piego era giallo con una vasta ferita di ceralacca ancor madida recante un sigillo stellato che circoscriveva una A, nettamente incisa. Aprì e lesse.
«Arialdo, il gran ciambellano, Azzone saluta.
Eccellente ambasciatore, anzitutto, porgo le scuse per la riprovevole condotta del conte Turibaldo che cedendo alla sua impertinente curiosaggine valicò per vanità le prescritte regole reali della sua missione.
Ebbene, vengo a informarvi che con rescritto regio duodecimo emanato sin dal primo anno di regno, sua maestà stabilì il tassativo divieto d’usare nelle pubbliche adunanze titoli e nomi propri da parte dei convenuti d’ogni rango. È inutile che si dia conto delle alte cagioni d’un siffatto decreto, tanto è palmare ch’esso s’ispira a chiarissimi principi di giustizia, talché coloro che sono ammessi al desco di sua Maestà son tutti parimenti suoi sudditi, ciò che supera senz’altro ogni altro onore, sopendo ab imis ogni tronfiaggine per ulteriori disdicevoli distinzioni personali.
In fatto e in diritto ogni titolo nobiliare deriva sustanzialmente dalla regalità, al cui cospetto, pur non cessando, si può ben dir che si sospenda, tornando ogni dignità alla grazia del largitore.
Del resto gli attributi son predicati d’una sola sostanza che li emana e li possiede. Ergo innanzi al re si torna ignudi di nomi propri e titoli, mettendo conto declinare solo l’ufficio che si esercita, ossia la propria funzione iscritta nel provvidenziale disegno regale.
Tanto si doveva, affinché nulla abbia a turbare la vostra missione, nel rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, sicché or prendo congedo fiducioso nel vostro acuminato acume, per nulla acusmatico, ma anzi matematico».

Rise e sorrise, Azzone. Poi tornò nel letto e strinse a sé con nuovo vigore l'ombrosa e lucente Romilde.

mercoledì 18 giugno 2014

O ramingo! Esercizi



Facezie

Dalle lettere di Robinson Crusoe agli apostoli:

"Liberaci dal mare, amen."

Suvvia, il Ratto d'Europa non è una pantegana.

Pesame, pesame mucho que tengo miedo parerti un hermoso comò.

Lei: Se tu venissi in autunno?
Lui: Eh insomma, parliamone cara. Ma che sarebbe, sesso tantrico?

Amaro Averno: il gusto treno della vita.

Eh signora mia, il sonno di Bouvard genera Pécuchet.

Giuro che mia madre è donna di costumi morigeratissimi, checché se ne possa pensare, conoscendomi.



Biblioteca di Parerga

Past Office di Charles Ossobukowski



Cinguettii a Spoon River

Tweetti, tweetti dormono sulla collina;

Ei fullower;

Eran 140, eran giovani e forti e sono motti;

Ahimè, twitto passa.



Anagrammi

Antonio Tabucchi = Incubi ho cantato = Oh incanto, tu baci

Viola Fiore = Fra l'io e voi = fral io e voi

Post Office = Copi stoffe

Antonio Gramsci = Mito in gran caos

Aureliano Buendìa = Da un alibi a un eroe

Don Giovanni = Divo inganno



Tmesi e doppie letture

O ramingo, ora mingo

A presto, ricopiano forte! Apre storico pianoforte

È grazia salvifica, Egra zia salvifica, 
E Grazia salvi ... (E basta!)

Provvidenziali mal di testa! Oggi no, o Gino: Ogino-Knaus!

Per tedio dà more, Per te dio d'amore

On the road: Do mani in via, Domani invia

Ama Cafiero ancòra, Amaca fiero àncora

Perno di menti care, Per no dimenticare

Pompe di maquillage freudiano: Caro es tinto





Neologissimi

Asticella: Segreta piemontese di Franco Chirico

Speculare: Attesa d'una grande fortuna

Oculato: Sorpreso per la gran fortuna di Sandra Muzzolini

Oculata: Attonita caduta con impatto deretaneo

Renzinante: Cavallo di don Matteo della Mancia

Starnitrire: Verso del cavallo VIP

Googlare: Parossistico borborigmo parossitono interrogativo

lunedì 16 giugno 2014

Cronache di pestiferi amanti

Atto unico

Ispirato dal certame #Ceraunavoltaunre, per istigazione incolpevole delle #scritturebrevi di Francesca Chiusaroli




Personaggi

FC: Franco Chirico, deus ex machina

LS: Luigi Scebba, testimone e confidente degli amanti

Qwerty Uiopè: furfante e amante di Ines Ytrè

Ines Ytrè: amante, dal gran fascino palindromico, di Qwerty Uiopè




LS

C'era una volta stellata sopra di me
E un trono di spine con assiso un re
Ma un paggio malvagio ben altro raccontò



FC

C'era una volta un Re-ietto
Che solea profilarsi Qwerty Uiopè
Ma non era affatto un re



LS

Ricevo da Qwerty Uiopè e malvolentieri riferisco:

Son Reietto ed impostore
Ma con Ines Itrè io fo l'amore



FC

Vanta abiti da Re e s’atteggia a Don Giovanni
Ma è solo un infido malestruo,

Un malnato in lordi panni



LS

Da Ines Ytrè:

La tua bell’invettiva è pura verità
Ed ogni suo panneggio val quanto uno s.



LS

E Lui rispose ohimè:

Oh non rammenti più
Quando sul canapè
Implorasti quartier
Al valoroso Qwerty Uiopè?



LS

Ma Lei replicò:

O Effeci non credergli giammai.
Ei fu briccone ignobile,
E a letto, un soprammobile!



FC

Ah ah ah perciò di priapesco avea
sol la rigidità da bomboniera,
più che il batocchio ciuchesco a bandoliera.



LS

Che triste spettacolo, ahimè.
Oh che vergogna, adesso volano schiaffi e frottole e rime e calci.
Eppure, eppur perdutamente s'amano,
onde possiamo ben alzare i calici.