domenica 27 ottobre 2013

Il punto d’onore

(Frammento)

Un attaccapanni all'angolo della stanza, con aguzze punte rivolte verso l'alto, spoglio come un albero in autunno, prossimo ad un mobile basso che corre lungo tutta la parete verso l'angolo opposto privo invece d'ingombri. La parete di fianco sventrata da una finestra verdeggiante, soffocata di rami e foglie, perfettamente celata come neppure il pertugio mimetico di un cecchino. Dentro i confini della sua verzicante macchia di luce, un'arresa scrivania in compagnia di una vetusta sedia girevole e con le rotelle, che ai suoi bei dì dovette insuperbire il suo assiso titolare, il quale pur di girarsi e gironzolare come un paraplegico, non avvertiva nemmeno l'appiattente martirio gluteare ed il tormento lombare, provocati dal solenne trono in similpelle, ultimo modello, alla faccia degli invidiosi colleghi. Sull'angolo destro il computer declinante senza tregua un originale standby in carattere greco antico, «ho ben fatto il classico, io!», ed un altro ripiano stretto e lungo a ridosso del muro sulla sinistra, dietro il trono.

Questa ricca dote, bensì accattata di qua e di là, ornava l'arca del quotidiano viaggio dalle ottoetrenta alle diciassette, salvo diverse timbrature, per scampare alla fame e ai debiti.
Ora, in un simile lussureggiante giardino, davvero soltanto un animo intirizzito dall'ignavia o piuttosto afflitto da una perniciosa e nativa infecondità sarebbe potuto rimanere insensibile al richiamo delle muse, sottraendosi al dovere d'evacuare copiosamente gemme poetiche, voli d'ingegno, tuffi mistici con ghirigori e arabeschi e acrobazie letterarie d'ogni tipo.
Si capisce, tale slancio fabulatorio avrebbe potuto prendere l’abbrivio solo nei rigeneranti intermezzi di lettere con protocollo e oggetto, deliberazioni in procedura d'urgenza rivolte, s'intende, a promuovere l'interesse generale, nonché a rimuovere quel che osta, al fine e ai sensi e con i cordiali saluti, addì, e da ultimo l'indispensabile, in calce, firma del dirigente. L'apposizione di timbri d'utilità imperscrutabile, nonché l'indicazione dei nomi e titoli rispettivamente del Responsabile e del Trattatore della pratica, avrebbero condotto a termine la fatica e di bel nuovo dischiuso l'animo al bello al buono e al vero. E di lì cascate ripullulanti di preziose escogitazioni poetiche.
Salvo ricevere ulteriori istruzioni, si capisce urgentissime, circa l'inderogabile necessità, per conformità, in ordine ad una colpevolmente trascurata regolarità, di aggiungere timbro tondo accanto al timbro lineare, ché il timbro rettangolare invero esonera dal tondo, ma giammai quello lineare. Senza che poi ciò abbia a destare stupore alcuno, dacché le carte di particolare rilievo devono recare sigilli di molteplice geometria, sbavanti inchiostro setacciato, così da ridurre bensì le suddette carte come la sputacchiera di un abominevole catarroso, ma, d'altronde, elevate infine alla più incontrovertibile legalità.
Se il senso del bello può ben tollerare interruzioni, essendo d'altronde per definizione intermittente, forse si potrebbe temere, in simili circostanze, una qualche sgualcitura dei testimoni eterni. Solo a patto però di congetturare, per mera ignoranza, che un Trattatore di pratiche nell'esercizio delle sue funzioni, tenga alla precisione delle sue opere in una misura diversa che all'onorabilità della propria stessa madre. Ma tale congettura, ovviamente, è del tutto inverosimile, anzi assurda.
Infatti, all'uopo, pardon, in proposito, si racconta di un celeberrimo Trattatore di pratiche che apostrofato con durezza dal suo caposervizio per aver fatto eccessivo uso di virgole, in violazione dei provvedimenti restrittivi imposti dal dissesto burocratico incombente, trovò il coraggio di replicare, vincendo con uno sforzo sovrumano la sua naturale e trepida remissività.
«La prego dottore di denunciare piuttosto l'incertezza della mia paternità. Insinui senz'altro che mia madre abbia condotto una vita leggera e dissoluta, degna della più severa rampogna morale. Dica pure che la mia mammina amata adescava uomini agli angoli delle strade per condurli in un ben noto paradiso, dove i malcapitati erano costretti a urlare follemente di piacere, per la misericordia delle sue esperte e genuflesse preci labiali. Non indugi, in aggiunta, ad attribuire alla mia povera madre permanenti inclinazioni alla sodomia più efferata attuata con ogni mezzo.
Se vuole si spinga a proclamare che io stesso, novello seguace di Alcibiade, in disprezzo del mio sesso e contro natura, abbia ereditato degnamente tutte le suddette perversioni materne. Non esiti neppure ad accusare che pur di perpetrare ad ogni costo tale cumulo di nequizie, mi accompagnerei perfino agli zampettanti migliori amici dell'uomo: ché la sodomia porta con sé inevitabilmente la zoofilia, salvo che nel mio caso si tratterebbe d’irriferibile zoofilia passiva. 
Mi dorrei per queste ingiuste e infamanti invettive. La rosseggiante e recente ferita per la perdita della mia cara mamma tornerebbe a divampare come l'incendio di Troia. Qualche colpo subirebbe parimenti la mia autostima di eterosessuale incorruttibile e di amatore di apprezzata virtù e conclamata generosità. Poiché in verità nemmeno col lanternino sarebbe possibile trovare una sola delle donne che hanno avuto l'avventura di partecipare ad un furioso e indimenticabile congresso carnale da me officiato, non dico insoddisfatta, ma che si sia ancora riscossa dallo stupore e dall'estasi.
Tutto ciò, per quanto grave e lesivo del mio onore personale, io l'accetterei, sono uomo di mondo, veh. Ma non potrei, non posso, non potrò mai tollerare che la minima ombra del più lieve sospetto sfiori la mia reputazione d'integerrimo Trattatore di pratiche.
Come ha potuto, senza tema che le ridondasse a perenne vergogna, solamente immaginare di poter censurare le mie irreprensibili scelte d'interpunzione? Non avrebbe dovuto neppure osare. Eserciti piuttosto la sua vigilanza e censura sulle interpunzonature apocrife della frequentatissima cavità pubica di quella troia di sua moglie.»
Il caposervizio basito e confuso e sconvolto trattenne la stizza, pensando ai guai sindacali, sicché si limitò a bofonchiare rassicurazioni di risarcimento per congedarsi al più presto. Ma il Trattatore bloccata l'unica via di fuga dell’odioso superiore, riprese la battaglia ché giustizia non era ancora fatta.
«Certo lei potrebbe credere che io trascenda nel cattivo gusto con allusioni ineleganti e sgradevoli, ma soprattutto approssimative. Voglio al contrario disilluderla, poiché mentre sono note e acclarate ed empiricamente accertate le interpunzonature di cui sopra, che lei ipocritamente fa finta d’ignorare, sulla quantità delle mie virgole, al contrario, lei esprime inconsistenti e labilissime opinioni, prive di ogni fondamento. Le norme e le forme dell'interpunzione da me certosinamente applicate, appartengono ad una scienza certa e consolidata e indubitabile, altro che le sue capricciose opinioni, scienza da me coltivata in lunghi anni di entusiasmante studio, approfondimento ed esercizio. Senza nutrire la minima vergogna per la sua crassa e belante ignoranza, è giunto dunque alla temerarietà di non astenersi dall'esprimere questi giudizi totalmente gratuiti, anzi raglianti, su una mia pratica. Ma bravo! Ma bravo. Come se la scienza permettesse i suoi punti di vista arbitrari e soggettivi. Le sfugge del tutto che l'interpunzione è cosa della massima importanza, fonte della significanza di ogni testo, madre di ogni ben formato costrutto o perifrasi o proposizione, custode demiurgica del perfetto enunciato. Quale differenza se scrivo "La moglie del caposervizio è una bella donna...", oppure "La moglie del caposervizio è una bella donna". Nel secondo caso formulo irrefragabilmente un complimento, nel primo, invece, con la semplice e banale aggiunta di due piccolissimi puntini, due insignificanti cacatine di mosca, si spalanca una voragine di incertezza etica sulla sua degna consorte.
Ebbene, la pratica da cui ha osato trarre indebito spunto per la sua squallida censura, sappia, l'ho sottoposta a ben trentasette - dico - trentasette revisioni. Che fa? Adesso inarca il sopracciglio? Vorrebbe forse fare dell'umorismo da usciere? Trentasette revisioni le sembrano troppe? Che siamo pagati per fare in fretta? Che il tempo è denaro? Per nulla, il tempo è ben più importante del denaro, la smetta con questi frusti luoghi comuni. D'altronde perfino un'aquila come lei può intuire che la perfezione non ha prezzo. Di più, nemmeno in capo a settantaquattro revisioni altri, e non faccio nomi perché exempla sunt odiosa, altri, dicevo, avrebbe saputo raggiungere il vertice di ritmica purezza e precisione semantica della mia pratica in oggetto.»
Il caposervizio vinto e sfinito, provò ora disperatamente a scappare con più ferma risoluzione. Pur di riguadagnare il suo ufficio avrebbe riconosciuto volentieri l’adulterio della consorte chiedendone la condanna con rito sommario perfino di fronte ad un tribunale ecclesiastico. Ma a ben altro ancora si sarebbe piegato. Avrebbe senz'altro proclamato ai quattro venti l'adamantina santità della povera madre del Trattatore. Patrocinato ardentemente presso sua santità il pontefice la causa di beatificazione per i meriti e i crismi palesi della pia donna. Inoltre con genuina contrizione avrebbe riconosciuto che il figlio della santa era un satiro, anzi un fior di scopatore d'inconcussa reputazione virile, ch'egli medesimo al contrario era un impotente. Si sarebbe infine piegato, per suprema ricompensa, a candidare il dipendente, tanto misconosciuto quanto ardente seguace di Priapo, a tutti i premi di produzione degli anni a venire, fino alla pensione.
Ma il Trattatore spietato, con torrenziale e tracimante eloquio proseguiva la sua indignata arringa, divenuta ora implacabile requisitoria, che mulinava argomenti ancor più stringenti e contundenti, incatenati a gragnuola come nella terrificante sequenza di un bombardamento a tappeto, tale da radere ogni postazione nemica al suolo.
Dal suolo raccolsero il caposervizio esanime, all'alba dei settantanove minuti della vibrante filippica del Trattatore. Un colpo apoplettico. Che tutti si affrettarono ad imputare al duro lavoro. Ipocritamente.