lunedì 16 settembre 2013

Il sogno delle nuvole e il croco

Andante appassionato e tenero con espressione

(Frammento)     

La luce dilagante del meriggio rovente ghermiva ogni cosa, la strada le case la campagna restavano immote e intimidite, sul punto di perdere la loro povera identità, appena costituita di profili incerti.
Il devastante bagliore, infatti, impossessandosi d'ogni forma disponibile, rendeva tutto magmatico e fluttuante e instabile. Come un barbaro sterminatore nulla risparmia nel suo tremendo e rapace passaggio, così quel meriggio divampava fermo e implacabile, recando una vertigine accecante che afferrava tutto in un tremito di sfinimento fino a dissolvere il paesaggio in una vana fuga di linee incerte e mobili.
In un mondo infine arreso e indistinto, la luce celebrava il suo abbacinante trionfo, tanto prossimo alla morte, salvo un brutale palpito di vigore, ignoto al baratro della notte.
E in quella luce, in quella notte, tra mille visioni che vengono e vanno, lungo una spirale estenuata appesa al pendolo inerte del delirio di quella notte, di quella luce, l’apparente tramonto nel sogno è l’unica salvezza tra la fuga e l'oblio.
Dov'era in quell'istante il fiore di roccia che aveva inebriato la sua vita? Perché. Perché. Un'impervia strada rotta e contorta e polverosa con ciglioni aguzzi e ferrigni, e dai sassi inariditi, prima promana un profumo fragrante di luna, poi si leva un cerchio di voluttà irresistibile che perde nella meraviglia lo sguardo.
E la gioia ignota di affondare le proprie dita in quella carne, lungo quei fianchi levigati e rapidi, e poi naufragare nel turgore del suo morbido seno, fertile delta di una nostalgia indefinibile. Una caduta trattenuta e rapinosa in un mare tempestoso e accogliente.
Poi il fremito del tiepido ventre come pioggia primaverile e selvaggia, scroscio improvviso che esalta il cielo limpido e la terra calda di fiori e profumi, allegri e sensuali.
Quella carne. Quella pelle. Quel rapimento che dischiude il vuoto. Soglia attraente del nulla. Precipizio felice che nel vortice della caduta disvela, appena per un istante, il ristoro del precipitare nel vento, la gioia del disfacimento dei cardini, la sublime bellezza della morte.
Così in quell'indifferenza inesplicabile che coglie sulla soglia di ogni vicenda estrema, esitano le passioni in attesa di compiersi tra i nervi e la carne, nell'interludio obliquo dove il fato non ha ancora sciolto i suoi enigmi, come un bambino prima che i dadi abbiano finito la loro breve e macilenta corsa.
Ah toccarti, baciarti, possederti, i seni sfiorarti, leccarti le cosce e suggerne serica ambra. Nei fremiti della tua valle dischiusa cercare il sentiero, dopo avere indugiato contro l'incavo del ventre, valicando di venere il monte e l'aspra vetta e vellutata, fino a sentire le labbra rugiadose, di cupidigia indurirsi. Poi i tuoi lombi con veloce vigore tendersi contro i miei fianchi nell'abbraccio avido e furente dell'onda spumeggiante del tuo corpo.
E scuotere di rosa una cascata di petali sopra la pelle divenuta un tappeto di nervi percorsa di lampi e sussulti, del tuo desiderio e delle mie mani, delle tue mani e del mio desiderio.
Con le mie mani che strappano l'ultimo lembo di nulla tra i corpi, con le tue mani che l'ultimo gemito d'una resistenza sfinita, nelle dita trattengono; prima del fiore di luce e tenerezza che ci invade nel soffocato brivido dell'urto dei corpi che le sensazioni reciproche infrange e confonde in un solo torrente di velate visioni e brumose e marine, gravide di attesa e di oblio come l'aurora.
Urtano i corpi in un volo di farfalla rincorso interrotto randagio, che fugge verso l'interminato orizzonte, come avventura che ignora il suo scopo, in una tenzone che sa che la lotta è palio più alto della insulsa vittoria. Negli intervalli poi bere al croco delle nuvole tue errabonde, e del tuo collo solcare di rosso il niveo albore, cogliendo coi baci le schegge variopinte del tuo desiderio che nutre il mio desiderio, che nutre il tuo desiderio che nutre il mio desiderio.

sabato 14 settembre 2013

14 settembre


All'opera preclara e preziosa di @diconodioggi

Anne e Béatrice Breidel, figlie del muratore belga François Breidel e di Elizabeth de Beaumont, nipoti di Fernand de Beaumont, archeologo suicida, e di Véra Orlova, cantante lirica allieva di Schönberg.
Véra della figlia Elizabeth fuggita non aveva avuto più notizie, fino al giorno in cui venne a sapere contemporaneamente della sua vita e della sua morte.

«Lunedì 14 settembre [1959] una vicina, udendo dei pianti, cercò di entrare nella casa. Non riuscendoci, andò a chiamare la guardia campestre. Cominciarono a chiamare, senza ottenere altra risposta che gli strilli sempre più acuti delle piccole, poi, aiutati da altri abitanti del villaggio, sfondarono la porta della cucina, si precipitarono verso la camera dei genitori, e li scoprirono, sdraiati, nudi, sul loro letto, con la gola tagliata, in un mare di sangue. Vera Beaumont ne fu informata la sera stessa. Il suo urlo rimbombò in tutto lo stabile. L’indomani mattina, viaggiando tutta la notte nell’auto guidata da Kléber, l’autista di Bartlebooth il quale, avvertito dalla portinaia, si era messo spontaneamente a sua disposizione, arrivò a Chaumont-Porcien per ripartirne quasi subito con le due bambine.»

Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso, Ed. Bur Rizzoli, p. 28