domenica 27 gennaio 2013

Un candido dono

Ferraglia e bachelite disanimate, a germirle lasciano la mano attaccaticcia, ancorché l’artiglio di un freddo fiato talvolta ne sprigioni, dischiudendo all’attesa il deserto insostenibile dell’evidenza.
«Dimmi, dimmi ancora dei tuoi falsi amici irlandesi», ma che cosa resta da dire quando la fragranza di un respiro dilegua.
Giornata inutile. Sveglia colazione lavoro casa tivvù. Poi quella voce di miele di fiele.
«Signore buonasera, lei non mi conosce, ma la prego, non riattacchi, non le voglio vendere enciclopedie, beh sì qualcosa vendo, ma non enciclopedie. Allora si chiederà che cosa. Mi creda, qualcosa di davvero speciale, sa? sono alta e magra, bruna e molto attraente. Ho ventottanni, le ciglia spesse e le labbra folte, sì insomma al contrario.»
«Guardi ha sbagliato numero, la prego mi lasci in pace, stavo leggendo, ecco, le do la buonanotte e un buon consiglio: al prossimo cliente dica pure di essere una studentessa, è una trovata formidabile.»
«Ah stava leggendo? Che bello. Che cosa?»
«Le operette morali... contenta? Buonanotte.»
«No, non riattacchi, ho bisogno di soldi e se m’impegno sono molto brava a letto.»
«Ma via la pianti, di soldi tutti abbiamo bisogno. Senta non sono interessato. Punto e basta.»
«La prego mi lasci venire a casa sua, che ci guadagna a restare solo soletto. Io sono carina, la farò divertire. Per sole trecento euro. Perché vuol fare il passero solitario e morire di noia? Tanto lo so che non ha nient’altro da fare.»
Ragioniamo. Vendita aggressiva, ma non professionale. Impertinente, ma il tono non è da imbonitrice esperta. D’altronde trecentomila sono appena il guadagno per una lavatrice. Eppoi, in effetti, che noia dopo una giornataccia di frigoriferi e telefonini, aspirapolveri e televisori, bolle fatture sconti e clienti. Magari. Chissà, forse non è sfatta dal mestiere.
«Senta signorina...»
«Candi, mi chiamo Candi.»
«Che coincidenza. Senta, non ho capito bene, ma quanti anni ha?»
«In che senso coincidenza? Beh sì, non proprio ventotto, quasi ventiquattro. Sì, veramente mi chiamo Candida ma è lunghissimo e così tutti mi chiamano Candi, le piace?»
«Immensamente: originale e fresco di bucato.»
«A settembre sono stata in Irlanda. E lì nessun compagno di classe voleva credere che Candida fosse il mio vero nome. E tutti a chiamarmi Kandy di qua e Kendy di là, con naturalezza e senza burlarmi minimamente. Qui, invece, che tormento. “Lava-trice, lava-trice, lava-trice”: così mi hanno abbaiato dietro per tutti gli anni del liceo.»
Dietro la porta un viluppo di effluvi incoerenti e un respiro corto e faticoso che abitava un’attesa impervia e come sospesa nella vertigine dei fili cedevoli d’una ragnatela. Poi la levità di un ingresso studiato e fiorito di sorrisi ammiccanti e teneri, fuggitivi e ingenui, ghirlande perplesse di una disponibilità solo ostentata e inverosimile. Ma sei una bambina o una donna?
«Si capisce, gli irlandesi sono educati e mitissimi, ma forse dipende anche dalla lingua e dagli elettrodomestici.»
«Sì, però, comunque sia, per me lì è stato bello. Via, mi lasci venire a casa sua. Duecentocinquanta? Vede, non chiedo molto.»
«Signorina...»
«Candi, mi chiamo Candi.»
«Sì va bene Candi, ma le pare modo? Sceglie un numero a caso, chiama nel cuore della notte e mi racconta un bel po’ di frottole per condire la proposta del servizio a domicilio. Ma che cosa le passa per la testa? Perché poi io e non un altro?»
«No, mi scusi, mi ascolti: non l’ho affatto chiamata a caso.»
«Ah no? Gliel’ha detto qualcuno? Ma no! Che sciocco! Come non capirlo! Ha trovato il mio numero sulle Pagine Gialle alla voce Satiri Pigri.»
«No, mi creda, niente di tutto questo. Ho scelto proprio lei perché si chiama Nirvano.»
Pochi fremiti diruparono dal suo seno acerbo, solo una frigida tenerezza dilagava dai suoi occhi, che talora però si annuvolavano in una proterva determinazione di vetro e di roccia. Non alitò mai né gioia, né desiderio, né gemiti mentiti. Anzi. Mani inesperte. Gesti frettolosi. Mi chiese presto di poter prendere un bagno. Passò del tempo. Poi altro tempo.
Aveva ancora fissa nello sguardo la stessa tenerezza stupita e impenetrabile, mentre riposava nel gorgo dell’amnio scarlatto nutrito dai suoi stessi palpiti. E due asole sdrucite nei fragili polsi stillavano veloci nel lavacro d’improvviso divenuto feretro, brumoso e mesto.
«Sì, Nirvano è un nome bellissimo, invita a perdersi e a naufragare in un istante.»
«Ma guarda un po’ che mi tocca sentire. Bene, venga pure. Duecentocinquanta, però. E non un euro di più».

domenica 13 gennaio 2013

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Gennaio 2013


Al di là del pene e del male

Sua Santwità sui gay tuona e saetta
Le donne poi son tempio del demonio
Tal è bontà infin ch’il cor gli detta?

Tra le follie che riempiono lo mondo
v’è che Razinga sprezzi nozze gay
ma con li froci suoi sia tremebondo.

L’aborto sì che turba et alma abbaglia
Non dolor di donna e madre gli ripugna
non obiettor e pur altra canaglia

D’eutanasia in Vatican si taccia
Eluana ancor il nostro cuore stringe
Vostra moral il mal pel bene spaccia

Don Corsi a Lerici
Lasciate ogni speranza o voi ch'enfiate
La patta altrui con vesti invereconde:
Con vostro pel nostra ragion traviate!

  
Il montismo, malattia senile del neuroliberismo

S'un liberista gonfi a tutto spiano
Sì che divien dell'orbe salvatore
Ti porta via perfin lo deretano

RodoMonti che in superbia sale
Berlusconi che spaccia vil cazzate
Del ben comun a niun importa e cale

Sei gennaio 2013
Nel mezzo del cammin quei vaghi Magi
Raccolta sul sentier brutal agenda
Rifecer tosto via per lor palagi

D'in su la vetta della torre antica
Passera solitario omai dispera
Per la sua sorte cruda et inimica.
Tu solingo augellin venuto a sera
Ferito al sol del già lontano Monti
A chi vuoi ora dispacciar tua pera?



La campagna d’ignavia della Mummia

Che Berluscon fia patto con la liga
Sola cagion sarebbe la follia
Ovver l'oblio coatto della f.

Non morimmo alfin democristiani
Ma tra minchiate vaghe et assortite
Finisce che crepiam berlusconiani

Par che cinga il nan ancor la palma
D'eversor dei nemici comunisti,
Dal furor sgominati d'una salma?


Dal giudice a Berlino

Alfin non puote manco la pietade
Con falsità e infamie spudorate
Riuccidon Cucchi e nostra libertade.

Al vil Sallusti bensì la grazia date
Per quei ristretti a guisa d’animali
Crepi pur Marco, son anime dannate.

Al Lapo al Lapo


Furto nella villa uruguayana di Lapo Elkann. I ladri sono stati messi in fuga al grido:
«Al Lapo, al Lapo!»

Dopo il furto, le prime dichiarazioni di Lapo: «Ladri no style, rubare a Goga le collanine is bad, ma lasciare my glasses stilose is very stupid».

Maxi-rapina a Lapo: si sospetta una «talpa», che voleva rubare i Velvet Glasses by Thamarro e per puro errore ha portato via solo quattro collanine da € 3,5 milioni.

Nuove dichiarazioni di Lapo: «I ladvi hanno pveso 3 milioni di gioielli, ma non hanno toccato i miei pveziosi occhiali Tamarrostyle: ah ah ah che cvetini».

«Asini e picciliddi, diu l’aiuta» (proverbio siculo-confuciano)