domenica 16 dicembre 2012

La lupa del serraglio


Frammento del poema cavalleresco

La Mignotteide

di Manfredi di Ratumemi


La rigonfiata e vaga meretrice,
di Messalina allieva in arti rare,
gode d’onori che manco Beatrice.

Già fu maîtresse d’arcòreo lupanare
fido pastor dell’harem del signor
sola guardian delle pudenda care.

Ind’il Sultan d’Italia reggitor,
come Caligol suo caval pugnace,
lei stessa nominò legislator.

Fu gloria tuttavia assai fugace
ché frugar minchie sculettando ignude
giov’alla carne ma allo spirto tace.

S’alza ‘l sipari’ or sopra la palude:
a carne serva fu sì prostituito
il ben d’ognun ch’altri disperde e illude.

Vorrei sol dir a la novella Taide:
resta pur china alle tue opre laide,
compra col tuo danar però le creme
per lo tuo cul ch’un tant’al chilo freme.


mercoledì 12 dicembre 2012

Le Tweettiadi 12/12


Cinguettii ‏a @DanteSommoPoeta

Dicembre 2012


Il ritorno della mummia (Libération)

Regna ‘l servaggio in esto vile mondo
S’ha da temer perciò lo suo ritorno
Purnondimanco con timor giocondo


È del poeta il fin la maraviglia
Ma l'ulteriore e postumo ritorno
Volge ragion ch'il nan merta la striglia


Laido briccone e falso gattopardo
Preci leviam ch’Italia ben ti serva
Come Fulgenzio fe’ con l’Abelardo


Dell'italico bordel anfitrione
Darlo a Louise in pasto o a Thelma
Buona saria over cattiva azione?


Turpe e ruffiano e carco di carogne
L’alma d’altrui hai rotto e pur lo cazzo
Libera nos de le tue crude rogne


Oremus

Or che Razinga twitta 'n cyberspazio
Temer dobbiam scomuniche o anatemi
O che finisca lui qual Bonifazio?


Zichicchirichì

Dolente già impreca la trinacria
Alle cazzate del babbion atomico
Davvero serve una cotale scoria?


Resto o l’arresto: questo è il dilemma

Il grande giustizier guatemalteco
Opina sia ferita l’uguaglianza
Lui solo detta legge senza spreco
E questa non vi pare tracotanza?


Crociverba


Sua Santwità Benedetto XVI apre un account su Twitter, ma si presta ad una doppia lettura
"Bene detto se dicesi molatore"

Refusi
Vince Bersani, Renzi: «Saremo leali», Ferilli e Parietti: «Saremo lecosce», D'Alema e Veltroni: "E noi saremo icoglioni?"

Filastrocca
La vispa Teresa gridava a distesa: "Aho Matteo Renzi là dietro l'hai presa”

Disperato anagramma post primarie
"Giorgio Gori = o giro grigio"

lunedì 10 dicembre 2012

Twitteratura potenziale


Violando la missione di questo solitario blog di trattare solo parerga, ossia quisquilie e pinzillacchere, desidero dare notizia ai miei tre lettori d’una iniziativa brillante e folle e sovversiva e a modo suo stupefacente.
Su Twitter da qualche mese cinguetta @dantesommopoeta, un fantasioso fake come tanti altri, si direbbe. Ebbene, per nulla affatto. @dantesommopoeta, in verità, esercita un alto magistero originale: cinguetta in terzine di endecasillabi. Ancora si potrebbe dire, niente di che, un gioco di terzine di un tardo amante della bella lingua che mostra la sua abilità di rimatore. Solo che per coalescenza e addensamenti progressivi intorno al Sommopoeta si è radunata una comunità che per contagio cinguetta analogamente in rima e metro, ciò che determina una diversa prospettiva di giudizio, oltre che un oggettivo effetto di straniamento. La comunità versificante, infatti, usa una lingua se non culta almeno controllata, mentre sul piano dello stile la misura metrica, vincola ad una piena responsabilità espressiva. Nulla di più lontano dalla lingua dei Social Network drammaticamente sincopata e popolata di borborigmi, neoglifi e faccine, insomma un morto corpus in attesa dell’esame autoptico di qualche sfaccendato linguista anatomopatologo.
Poiché da Parmenide a Vygotsky non si può più dubitare che il pensiero è nella sua essenza pensiero linguisticamente strutturato, ne discende che ad un linguaggio destrutturato in genere corrisponde un pensiero inarticolato ed essiccato, donde i legittimi timori d’una crescita esponenziale del cretinismo peumatico associato all’uso dei cosiddetti Social.
Il canone dei 140 caratteri in terzine di endecasillabi, praticato in partibus infidelium, anziché generare una contraddizione stridente, di contro, si mostra come un vitale gioco linguistico, poiché la versificazione posta al sevizio dell’indignazione e dello sberleffo o dell’arguzia e della polemica, non si limita a produrre un paludato panneggiamento estrinseco. Perfino l’odio più aperto e viscerale, infatti, se misurato in sillabe e accenti, riscatta la sua natura belluina di bassa passione, elevandosi a invettiva civile.
Di qui, non sembri stravagante, la contiguità laterale e l’aria di famiglia, mutatis mutandis, con le pratiche alte di scrittura vincolata di OuLiPo, Ouvroir de Littérature Potentielle, dacché il gioco acquista il valore di un esercizio di stile volto alla sperimentazione del vincolo della retrocessione stilistica e linguistica per rielaborare il presente.
D’altronde la lezione di @dantesommopoeta, intanto, ha il prezioso merito pedagogico di contrastare la sciocca credenza che la versificazione sia tout court poesia, china su palpiti e sospiri, espressione di lagrimevoli sfoghi vitelleschi e di pindarici voli di tacchino.
L’endecasillabo, già architrave della poesia italiana, nel gioco del Sommo conferma la sua inesauribile versatilità e vitalità, al punto che dopo aver sostenuto Dante e tutti i maggiori, imprevedibilmente ora si dimostra altrettanto formidabile quale misura e mezzo per intrecciare messaggi in centoquaranta caratteri. È evidente che l’inclita cerchia del Sommopoeta non mira all’ascesa del Parnaso, e tuttavia l’uso di un canonico strumento letterario nell’ambito di una vivente pratica sociale comunicativa, genera un campo creativo formalizzato che ha una irriducibile qualità estetica: non è ancora letteratura, ma è già twitteratura potenziale.
Scrivere una sorta di commedia aperta e corale, nutrita delle cento voci di una comunità pensante e twittante, del resto, mette in questione la tradizionale relazione letteraria fondata sulla rigida separazione di produzione e consumo che, tolti i poeti laureati dall’industria culturale, rende tutti gli altri meri fruitori passivi. Nondimeno la letteratura come pratica separata, non è né verità di fede né di natura, ma esclusivo frutto della divisione capitalistica del lavoro. Tra l’Alighieri e il contadino che improvvisava in terzine e in ottave tra i filari, la distanza estetica è incommensurabile, ma entrambi muovevano dal medesimo bisogno espressivo radicato nella comune umanità. Questa radice d’umanità totale non è contemplata nella sacra antropologia divisiva e gerarchizzata del neocapitalismo barbarico: tu fai il precario, quello sta all’altoforno, tu vendi scarpe e per le flatulenze letterarie basta Baricco, poi tutti insieme nel passivo ovile televisivo come le pecorelle di Dante «timidette atterrando l'occhio e 'l muso» (Purg. C. III v.81).
Ben al di là delle mie noiose speculazioni sporcocomuniste, da ultimo, la bellezza e la forza dell’iniziativa del @dantesommopoeta consiste tuttavia nella sua nativa qualità di abbagliante intuizione, che sa senza bisogno di conoscere (Faber), illuminata dal saggio proverbio arabo secondo cui: «la via si apre camminando».
È tempo, ora, dell’esoterico saluto. Buona fortuna:
abbi letizia e sicura sapienza: intuisci ancora!

domenica 9 dicembre 2012

La vita breve della verità


Se capitasse di leggere il seguente preteso sillogismo:
la cammorra ha condannato a morte Roberto Saviano
ma la camorra non ha ucciso Roberto Saviano
dunque Roberto Saviano è un camorrista
ogni persona dotata di comune buon senso proverebbe orrore e disgusto, sia per la delirante logica sottesa alla presunta deduzione, sia per il carattere palesemente calunnioso dell’odiosa accusa.
Quando, per contro, il PM Antonio Ingroia sostiene che
la mafia aveva condannato a morte Calogero Mannino
ma la mafia non ha ucciso Calogero Mannino
dunque Calogero Mannino è un mafioso
la pubblica opinione non si ribella ed anzi assiste sgomenta al racconto raccapricciante della presunta trattativa stato-mafia. Certo la differenza intellettuale e morale di Roberto Saviano al cospetto dell’ex democristiano Calogero Mannino, non si misura nemmeno a spanne. Ma basta questo a obnubilare le menti? Certo, Mannino è uomo di quella democrazia cristiana sicuramente collusa con qualunque potere legale e illegale utile ad assicurare, senza scrupoli e con ogni mezzo, la propria egemonia. Da Peppino Impastato a Pio La Torre, da Placido Rizzotto ai martiri di Portella della Ginestra, lo si sapeva bene, già da qualche anno, diciamo sommessamente senza offesa per nessuno.
Ma imbastire un processo nell'anno del Signore 2012, sulla base delle logiche parasillogistiche già dette e con questa doviziosa ricerca dell’evento clamoroso, fino alla recente sentenza della Corte Costituzionale sul conflitto di attribuzioni, desta il sospetto, beninteso un mero sospetto, che si tenti di sostenere l’accusa montando ad arte clamorosi scandali. Si dubita forse della tenuta del castello accusatorio fondato su incerto materiale probatorio e su una logica istruttoria tutt’altro che aristotelica?
Poi però si scopre che, dopo le casuali e fortuite intercettazioni del presidente Napolitano, tra le carte dello stesso PM Ingroia, ancora una volta per puro caso, sono finite anche le intercettazioni del capo del suo ufficio, il procuratore Messineo. Con ogni evidenza due casi accidentali, capita talvolta che la fortuna si accanisca e che cadano due lampi sullo stesso albero. D’altronde due indizi non fanno una prova, né bisogna piegarsi a facili insinuazioni scespiriane, sicché non è da credere che ci sia del metodo in questa casualità. E tuttavia si resta costernati e tornano profetiche queste parole del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
«In nessun luogo quanto in Sicilia la verità ha vita breve: il fatto è avvenuto da cinque minuti e di già il suo nocciolo genuino è scomparso, camuffato, abbellito, sfigurato, oppresso, annientato dalla fantasia e dagli interessi; il pudore, la paura, la generosità, il malanimo, l’opportunismo, la carità, tutte le passioni le buone quanto le cattive si precipitano sul fatto e lo fanno a brani; in breve è scomparso.»

giovedì 6 dicembre 2012

Le mille e una botta


Frammento del poema cavalleresco

Il caimano innamorato

di Manfredi di Ratumemi


L’ombra bugiarda de le brune chiome
sovra la pelle candida del seno,
avvampando vieppiù mia dolce speme,

svelava leggiadrie e celava meno.
Il lume mio fremente di disio
tosto posai sul guardo suo egizieno,

ma ‘l mio disio nemmen per lei fu rio.
Poi sol carezze e molte e calde furo
d’un’armonia che pur sfidava iddio.

Mai debbe io provar amor più puro,
di senno le nostr’alme furo orbate,
tanta fu gioia che a dirne son securo

paiono morte persin parole alate.
Dubbi d’afrori or Fede laido cenna:
ciancia l’invidia o sue nari malate

sabato 1 dicembre 2012

Malindi, lo svelato mistero

di Manfredi di Ratumemi


La gnocca sollevò dal fiero razzo,
indi fremente la fece ricader,
poi l’agitò su e giù che parea pazzo.

Corse la giostra come gran destrier
quando inusitato urlo e ripetuto
al prode il segno diè di dar quartier.

Ma ebbe gran calor al pube ossuto,
allor fu sol sgomento e maraviglia,
ché la pulzella, ehm, era ita di liuto:

dai zebedei sin sovra la caviglia
copiosa ambra fumante lo lordava,
ricorrer dove' dunque a dura striglia.

Perocché ancor l'uzzolo durava,
fece pensier di darsi picciol tregua
onde di man andava e lesto ritornava.

Ma poi ch’Onan gli rammentò l’avello,
cercò pozion ch’il mal scaccia e dilegua:
per ciò volò al briatoreo bordello.