lunedì 26 novembre 2012

M’illumino d’incenso


La divina provvidenza mi ha reso la grazia di un contatto diretto con il Santo Padre Sixtus 6, @SixtusVI Twittantes, che dal FantaVaticanum dispensa generosamente la sua somma sapienza dogmatica, per sciogliere i dubbi e dissipare i dilemmi che tormentano i poveri fedeli.
Con il Suo alto patrocinio, senza nulla variare, ecco il fedele resoconto dell’ultima udienza.


L. S.: «Santo Padre, le beate olgettine della immacolata prostituzione (mi pagava ma non ho fatto gnente) entreranno nel regno dei cieli?»

Sixtus 6: «Certe. Discintae et Treninum Facentes.»

L. S.: «Fiat voluntas tua, sed Concilium Treninum non imposuit ad nano fellationes facere, in veritas! Ergo immacolatio maculata est.»

Sixtus 6: «Misericordiosa Ecclesia Est. Etiam Cum Eadem Zoccolae Patentatae. Sed Nanus cedemus Diabolo»

L. S.: «Ego recipio auctoritatem vestra, amen»

Sixtus VI: «Benedicimus Fidei Tuae. Oremus pro Tibi.»

domenica 25 novembre 2012

De Mente

da Silvio Pellico


Silvio Pellico è a tutti noto come esemplare patriota e celebrato autore de Le mie prigioni. Meno noto è il suo genio profetico, che siamo oggi in grado di documentare, grazie alla provvidenziale scoperta di una sua poesia ancora inedita dal titolo controverso De mente o Demente: invero il secondo dei due sembra lezione inattendibile, scaturita da una interpolazione apocrifa o da un mero refuso, dacché linguisticamente contraddittoria e anacronistica. Il carme preannuncia, con quasi due secoli d’anticipo, la straordinaria figura e la mirabolante ascesa di S. B.
Questa autentico scoop letterario, effettivamente può suscitare sorpresa, nondimeno recherebbe una grave offesa all’arte e alla verità chi nutrisse arbitrariamente un preventivo sospetto alimentato solo da abbietti pregiudizi ideologici verso il grand’uomo di Arcore. Una scrupolosa analisi filologica del testo, infatti, ha permesso di acclarare ragioni tematiche e valori formali imponenti a suffragio della sua autenticità, dissipando ogni possibile dubbio di spurie manomissioni, ovvero di rimaneggiamenti apocrifi.
Il testo ci è pervenuto in uno stato relativamente precario, onde con ogni cautela si è provveduto ad una fedele ricostruzione, con precipue finalità restaurative, nello spirito e nella lettera del genuino dettato silviopellichiano. Il cattivo stato dell’opera, al suo ritrovamento, ci obbliga a congetturare che essa sia transitata da una o più biblioteche comuniste, dove, calpesta e derisa, è rimasta per lungo tempo ignominiosamente occultata. Finalmente possiamo restituirla alla luce del mondo e ai lettori, per il conforto di tutti coloro che hanno a cuore la libertà, nonché le nobili gesta del Cavaliere che con sagace preveggenza il Pellico, con un magnifico vaticinio, volle celebrare a futura memoria



E che importa ovunque gema
Questa salma sciagurata
S’altra possa Iddio gl’ha data
Che null’uom può vincolar?

Sovrumana è la sua mente,
Vasta rapida e possente;
Più d’un tempo è a lei presente
Cielo abbraccia e terra e mar.

Ei non è solo egre membra
Di poc’alito captive,
Anzi è alma che in Dio vive,
Anzi è liber possessor;

Anzi è ente, che securo
Come aquila sul monte,
Mira intorno, e l'ali ha pronte
Ogni loco a posseder.

Crine al vento e pie’ veloce
Corre l’onde e i canaloni
Gladio in resta e due maroni
Sempre intrepido a brandir

Di lontano tosto infilza,
Di lontano ascolta i detti.
È ‘l terror de’ rei baffetti,
D’ogni etèra ruba il cor.

Sia con seni al silicone,
Saltimbanchi e pannoloni,
Saponette e cortigiani,
Miete telespettator.

Cavatore di danari,
Gabba ogni uomo al mondo,
La sua gloria non ha fondo
Grazie alle television.

Lode etterna al re dei cieli
Che gl’ha dato questa mente,
D’una fantasia fervente
Onde è sempre vincitor:

«Morte invan brandisci ‘l ferro
Di che mai tremar degg’io?
Sono spirto e spirto è Dio
Non son meno del fattor.»

Diss’ei, or che crebbe supicione
Che non cura d’altri fosse
Il tanto romor a Italia alzato,
Poi che il brando sì agitato
Sol suo cul volea serbar impenetrato

sabato 24 novembre 2012

Truciverba

In anagramma veritas


“Elsa Fornero” incatenata
«Se narro fole», «erro nel sofà», voi vile plebe a «solforare, neh».

“Renzi Matteo” svelato
«rottame izen» (pronuncia aizen: iphone oblige) che «tra ozi mente».

Petraeus fottuto
La Cia ci spia, ma gli sfuggì il palindromo di Paula: "Allupata pulla"

martedì 20 novembre 2012

Biblioteca di Parerga

Strane letture


La collana di libri che si presenta è il frutto della partecipazione ad un gioco perverso e virale proposto da Stefano Bartezzaghi su Twitter con l’hashtag #moreambitiousbooks. Esso consiste nel concepire more ambitious books, ossia titoli smargiassi, stravolti e tronfi, secondo il gusto di ciascun giocatore.

Luigi Pirandello, Svestire gli ignudi, (Trad. Elsa ForNeuro)
Margaret Mazzantini, Venuto al Macondo
Franz Kafka, Americanata
Gaio Giulio Cesare, Debello civili
William Shakespeare, Cori o l'ano ... (Trad. Francesco Totti)
Andrea Camilleri, L'odore della botte
adolf hitler, Le mie frattaglie
Silvio Berlusconi, Una scoria italiana
Tucidide, La guerra del peloconnesso (Trad. Cetto Laqualunque)
Elsa Morante, Arapoeli
Grazia Deledda, Canne al vinto
Gérard de Nerval, Le figlie del cuoco
Francis Scott Fitzgerald, Tenera è la botte
William Golding, Il signore delle cosche
Raymond Queneau, Esercizi di bile
Italo Calvino, Ultimo viene il morbo
Carlo Collodi, Le avventure di Phinocchio
Alessandro Manzoni, Storia della colomba infame
Lev Nikolaevic Tolstoj, Sonate a Kreutzer
Carlo Emilio Gadda, Il castello di ùrine
Carlo Emilio Gadda, L'Analgisa
Leonardo Sciascia, Il coniglio d'Egitto
René Descartes, Meditazioni Pilosofiche (Trad. Cetto Laqualunque)
Italo Calvino, Ultimo viene il torvo
Cormak McCarthy, Figlio di Pio
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del torpore
Philip Roth, La racchia umana

mercoledì 14 novembre 2012

Lettera di Papa Giovanni XXIII al rinnegato Bersani


«Tornando a casa, troverai i comunisti. Dai una carezza ai comunisti e dì: questa è la carezza del Papa. Non aver vergogna del tuo passato: rinnegare la propria storia è da vili.
Il comunismo, in fondo, è amore per i deboli e gli spossessati, lotta contro lo sfruttamento e contro la riduzione dell’uomo a merce fungibile, direbbe l’amatissima Rossana Rossanda. Si certo tanti errori sono stati commessi, non me ne parlare. Ma sai, gli uomini sbagliano: sapessi quali ignominie sono state perpetrate in nome del buon Dio. Avrei dovuto forse spretarmi e abbracciare satana perché qualche mio turpe predecessore bruciava cristiani allegramente?
E poi, il tuo bel capitalismo dove ti porta? Non vedi la miseria, il dolore, i diritti calpestati e negati a novantanove uomini perché uno solo goda d’una opulenza spudorata? Perfino la speranza nel futuro è stata distrutta, inventando un debito per tutti, che coincide con l'arrogante e volgare ricchezza di pochi, corda e guinzaglio del presente per il futuro. Ne sei contento? Pensi di usare pannicelli caldi? Chiederai agli oppressori di essere meno smodati e più clementi? Ma figliolo, l’uomo ricco è malvagio. Egli farà finta di lasciarti le briciole, per continuare a ingrassare indisturbato. Ti butterà appena qualche avanzo, come si fa con i cani. La tua prudenza contro la sua prepotenza è solo ridicola e colpevole sottomissione. Per il futuro, figliolo, risparmiami dai tuoi appelli. L’amore per Dio non rifulge nella sciocca devozione, ma solo nell’amore per gli altri. Tu ne hai ancora? Ti benedico»

lunedì 12 novembre 2012

Daniela d'Arco delle Sante Anke


Sparsa di frecce turgide
sul corazzato petto,
drizza le palme, e rorida
di morte il bianco aspetto,
mostra il diton mediano
bisbetica e furiosa.

Cessi il tormento: unanime
s'innalza una preghiera:
smetti lo strepito
zelante e pernicioso,
sulla pupilla arcigna
cali l'estremo vel.

Sgombra, o gentil, dall'ansia
de’ tuoi pedestri ardori,
leva all'Eterno un rabido
pensier d'offerta, e taci.
O almen corri precipite
a quel paese tosto.

Gli spilli dei tuoi tacchi
sgonfin la cornamusa,
rendi l’oblio al meschino
liberaci dal mal.
Ebbra del nanerottolo
da tue labbra argentee

schiuma arcoreo mestruo,
incontinente e garrula,
presta e fedele al sir,
quanto un carabinier.
Ahi, nelle insonni tenebre,
pei claustri miliardari,

tra il ballo delle vergini
sui supplicati altari,
sempre al pensier tornavano
gl'irrevocati dì.
Quando ancor fresca, improvvida
d'un avvenir mal fido,

vaga spirò le viscide
aure del cuneese lido,
e tra le sgallettate
l’uno se la strappò.
Ma sciolte le sue redini
di nero crin gemmata

all’altro la ridiè riverginata.
Sbandossi collo spione
aiutolla il marpione
rozzo malnato e Ceo
che la condusse a dio.
Il dio vastaso e frale

Lei volle orizzontale,
ma sua alterezza stubida
condusse al gran rifiuto:
sol ritta ella si stava, nevver,
nevver. Nevero?
«Per mero duol di schiena»

Er Pecora chiosò.
Poscia fu dubbio amletico
se darla o se non darla,
ma infin risolse intrepida
che gloria ben valea
dar via la sua ninfea.

Non più donzella alfine,
guldrappa d’oro fino
omai sol era scrigno
di gioie spaiate e trine.
Ma il richiomato sir
seco rivolle tosto

la rifascistata etèra
vieppiù idrofoba e fiera,
latrante e furiosa,
fumante e crepitante,
irrefrenabil veltro
con zanne affilatissime

e labbra sottilissime,
pronta a sbranar nemici,
cieca a ogni evidenza,
sempre a Lui coronare
con furia da comare.
E dietro a lei la muta

de' cortigian schiumanti
e lo sbandarsi, e il rapido
redir da veltri ansanti,
correvano tenaci
al suon della sua voce
di lavandaia truce.

Allor che lo stral colpì
il regio e sovrano cor
la tenera affranta e attonita
a tutti il volto
volgea repente, pallida
d'orribile furor.

Oh gnocca errante! Oh tepidi
lavacri d'Arcoreano!
Ove, deposta l'orrida
maglia, il guerrier sovrano
scendea dal campo a tergere
il nobile sudor.

Per allegrar il cor ai placidi
gaudii di nuovi amor.
Che fé di mal? Che fé il grand'uomo?
Son solo mondani ardori
ricerca del refrigerio
d'una parola amica.

Ovver d’un po’ di f.
Fallace e mostruosa onta:
«Son testimon io stessa
a Lui indarno fidanzata
pel picciol brando gracile,
fresca negli arsi talami

lasciommi et illibata,
manco rugiada al cespite
giungea poi ch’era estinta al fonte.
Né più virtù d'amor potea
resurrezion mostrare».
Ma Er Pecora sibilante,

brutto tracagno e rio,
disse che a letto con su’ nonna,
son tutti padrepio.
Qual vampa paonazza
alle parol del ratto,
l'orror l'anima assale.

Indi vola alla specola
il volto a riguardare, poi
seno, anche e pudenda.
Ma le rispecchiate immagini
reser più acuto il mal:
sol atrii muscosi e fori cadenti,

sol boschi e omai spente fucine stridenti
e solchi ragnati d’orrendo sudor.
E il seno disperso che più non si desta!
Con tremito acceso levò su la testa,
percossa da tanto crescente dolor,
dimenticò il nano e fuggi dal dottor.

domenica 11 novembre 2012

Le olgettine

Processo Ruby


Le giovani ospiti delle famose serate eleganti del bungabunga, hanno ammesso d’aver ottenuto sonanti doni dall'ex premier nel passato, nonché d’essere decorosamente retribuite ancora nel presente. Tuttavia, hanno opposto un verecondo e meravigliato sdegno alla peregrina illazione che tanta prodigalità sia il turpe compenso di un basso mercimonio, non si parli di meretricio, dio ne scampi.

Le beate vergini olgettine, al cospetto di San Germano, recitano i solenni salmi della immacolata prostituzione.

sabato 10 novembre 2012

Giuliano Crinitàdipe di Ounto


Creatura di Autone et creator di Autino


T’amo, o pio bove, d’Auton pria cortigiano
ardente, e d’ogni lordura cantor
fervente, d’idoli facitore vano
a etterna gloria del garofaneo fetor.

Indi libero servo, turpe e villano,
d’Autino d’ogni fola venditor.
Né vizio, obbrobrio né altro arcano
svelle giammai l’amor tuo stuprator.

Da larga frogia umida e tronfia,
fumi spirti servil e devozion romana:
tuo otre a ognun dà asil, purché marrano.

Aedo di nequizie, tromba omai sgonfia,
crinita adipe peggior d’ogni puttana.
Ridi pagliaccio, ridi, al soldo del sultano.

venerdì 9 novembre 2012

Primarie del PDL

Turbolento ufficio di presidenza

Silvio Berlusconi chiede «Facce nuove, facce belle, facce pulite, ma soprattutto facce di azzo. Ecco ho trovato: voglio Renzi».
Nel corso del sereno dibattito Ignazio La Rissa annunzia a Galan: “Sei un perfetto cretino”. "Mi son perfetto e tu sei cretin" replica Galan. 
«Basta gelatai e barzellettieri! Si vince solo con le cassate», conclude Half Hano, in tono siculo-emiliano.

Si replica lunedì, giovedì e sabato all'Ambra Jovinelli.

Malcom X


Da Malcom X a Random X

Babbeo Renzi: una casuale (random) incognita (X).

La lega si slega


Scandaloso endorsement

Maroni: "Siamo pronti ad andare da soli". Autoerotismo di bassa lega?

mercoledì 7 novembre 2012

Stupefacenti appelli

Elezioni USA

Dal fumante Colorado, appello a Barack Obama di Mariagiovanna Deledda: "Canne al vinto".

martedì 6 novembre 2012

Il fallo da dietro






















Le parole che raccontano il gioco del calcio hanno subito una mutazione irreversibile. Dalla cime letterarie della prosa mitopoietica di Gioanbrerafucarlo e del misurato e lieve parlato poetante di Sandro Ciotti, si è passati ad uno stilnovo cafone che ha generato una neolingua ridotta a gergo disseccato e lobotomizzato.
Si è consumata una sorta di eversione plebea contro la grammatica e la sintassi che non ha risparmiato nemmeno il lessico, travolto dall’introduzione di neologismi storpianti, anglismi somari, francesismi bislacchi e dialettismi raglianti. Ma, a conferma che al peggio non c’è mai fine, la neolingua pedatoria analfabeta ora prende a mutare ancora, subendo un’ulteriore avvilente torsione genitale in chiave di esplicita e impudente erotizzazione.
Consumato ogni residuo scrupolo perifrastico, ormai vi domina la crassa ed esplicita metafora oscena di stampo fallocratico da lupanare e suburra, ossia un idioletto originariamente concepito e praticato da tenutarie e prosseneti, sgualdrine e lenoni, in funzione del mercimonio postribolare.
Con pompeiana e sguaiata turpitudine gli aedi pallonari declamano la mischia furibonda in cui volano falli proibiti, la penetrazione rapida e profonda, esultano per l’inserimento da dietro, la percussione, la pressione alta, lo sfondamento; con mestizia annotano la palla smorzata, gridano al duro fallo.
Un debole tiro si trasforma nella vile espressione: lo dà in bocca al portiere, vittima predestinata d’ogni più scurrile apostrofe, egli è scartato, infilato, penetrato, uccellato.
E insomma, basta! A tutto c’è un limite! Il calcio è forse la prosecuzione dell’amplesso con altri mezzi?

 * * *

            Finalmente gli arbitri inizieranno a fare sul serio per colpire un tipo di fallo davvero abominevole? Certo, tutti i falli sono brutti, Priàpo non ce ne voglia, ma il fallo da dietro è davvero particolarmente odioso. Insomma, è mai possibile che all’improvviso arriva uno e ti punta da dietro con un fallo talvolta enorme? È ora di dire basta! Non si può più tollerare questa grave forma di violenza proditoria, inaspettata e assai dolorosa. Il designatore Montagna ha dichiarato che gli arbitri non dovranno più avere riguardi nel reprimere queste volgari scorrettezze da cartellino rosso, come direbbero a Sky.
            L’On. Grilletti è intervenuto con molta foga per chiedere di evitare intollerabili discriminazioni facendo di tutta l’erba un fascio. Egli ha affermato che bisogna distinguere tra falli grandissimi e falli piccolissimi, falli grossissimi e falli minuscoli, ma soprattutto bisogna evitare l’accanimento contro il fallo da dietro quando poi si accettano allegramente tutti i falli davanti, senza alcuna uniformità.
            Sul tema ha rilasciato una dichiarazione il bomber Bigliardino: «Sì, beh, insomma, forse, però. L’importante è che almeno tutto termini quando l’arbitro fischia la fine».
            Il presidente Lodito ha detto ai giornalisti che «da dietro o davanti ogni fallo è fallo, ogni fallone è fallone, ogni fallaccio è fallaccio e tutti quelli che li subiscono pronamente andrebbero messi fuori rosa e puniti contro natura: dura lecs sed lecs». Egli ha inoltre ricordato che ora tutti si riempiono la bocca con il fallo, ma che in realtà solo lui già da tempo ha iniziato, in eroica solitudine, la sua lotta senza quartiere contro i falli, perché, ha concluso misteriosamente, «non si vince solo con i soldi, ma non bisogna vincere nemmeno con il culo».
            L’on. Grilletti ha duramente replicato, accusando il presidente Lodito di omofobia delirante compulsiva. Il presidente Lodito, sospettoso e furente, ha chiesto alla Lega Calcio di aprire immediatamente un’inchiesta, per sapere che cosa significa «omofobia delirante compulsiva», ché altrimenti «se sono parole d’offesa», avrebbe inchiodato l’on. Grilletti a un palo della porta sotto la curva nord, dopo aver tolto la traversa, facendolo calare dall’alto.
            Il vicepresidente vicario della Lega Calcio per calmare gli animi, cercando di minimizzare l’accaduto, ha precisato che, insomma, non c’è alcun bisogno di aprire un’inchiesta o di scomodare l’Accademia della Crusca, perché tutti sanno che «omofobia delirante compulsiva» significa «odio malato per i froci burini, gente dell’alto Lazio». Lodito, sentita questa dichiarazione, ha perso il sentimento. Nel corso di una infuocata conferenza stampa, appositamente convocata, ha tuonato: «Alto Lazio? Sti cazzi! A me frocio non lo dice nessuno. Ahò Rosella, Rossella Oara, Rossilla, Rossulla, Rosinella. A fallita de Italpetroli, come te permetti, pensa ai zeru cosi de tu nonno romanista in cariola. A capa de testaccio de cazzo, cadente impero de’ sensi, pensa al tu Pupone fasciato come ’na mummia egizia, che ’nvece de segnà s’è ridotto a contare barzellette al colosseo pe’ pagà li pannolini ai pupi sui e per comprargli il latte ha da mannà su moglie ’gnuda a la Salaria. Pensa a li tua mortacci de fame».
            Nessuno è riuscito a frenare l’inarrestabile esternazione di Lodito. Trasportato d’urgenza al logocomio di Formello dal suo autista detto Amàchina, imperterrito ha continuato a convocare ululante giornalisti, magistrati, giudici sportivi, stampa estera, e poi Delio Rossi, Dicanio, i dissidenti, e poi ancora d’un sol fiato, come un tempo Enrico Ameri: «Pulici, Petrelli, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi, D’Amico. Non quella gnocca de Ilaria bla bla bla, “e che, ci fa un sorriso?”. E che te devo ride’? Ride’ de che, del tu’ straccetto strozzazinne? A manico de scopa de chirurgo spastico, pussa via sporcacciona de Massimo Sconcerto. Non lei, voglio Vincenzo, quello che te corca, te purga e poi co’ ’na botta teribile manna a palla al Quarticciolo. Alé oh oh! Alé oh oh!»
            Pare che poi sia caduto in catalessi vigile. Infine tacendo, ma continuando a vorticare i bulbi oculari come dervisci rotanti. L’opinione pubblica è basita, si parlerà ancora di falli da dietro?
Chissà. Chissà.

Autone di Hammamet


Carme in distici sciolti alla memoria di Autone di Hammamet,
padre ignobile di Silvio, detto Autino

Allor che il sol giunto fu al ciglio
Lasciò ancor turbato il suo giaciglio

E tenendo ancor le braghe dissestate
Berciò sonoro parol disordinate

Indi indossò camicia di smunto vermiglio
E scese uggioso e superbo giù nel baglio

Ove l’attendeva desta la sua corte tutta
Giulivi valletti e ai cesti tanta vaga frutta

Ch’egli afferrò senz’altro riguardare
Divorando uva e banane senza dire

Poi fragole, volle, mele e ananasse
Mangiò tanto che tema s’ebbe che subito scoppiasse

Poscia postosi al centro della sua corte plaudente
Si liberò gaudente di sterco assai copiosamente

Rapito dal piacer di defecare
Niuno stimò degno di pregiare

E volse pensamenti ai dì felici
Quando ancor più potea scaricar feci

Quando al cibar si dedicava
Né altra speme o miglior destin per sé voleva

Se non desinare et evacuare immantinente
Onde poter moltiplicare il ciclo appassionante

Tuonò infine un peto dirompente
Tale da stordir financo a un dio la mente

Ma esso fu l’agognato segnale
Che giunta la cacata era al finale

Or che infine l’agio era raggiunto
Volle latte terso e bianco appena munto

- di capra – strepitò all’accorso pastorello
e bevve più o meno come un gran cammello

Miele e caffè gradiva eziandio
Ma riebbe tosto alla pancia un mormorio

Sicché l’appena terminato rito
Fu rinnovellato non lungi dal precedente sito

L’aere del baglio infin colmo di lezzo
Pare che al divo non fosse di sollazzo

Onde un valletto ei rampognò fremente
Facendolo cagion dell’aria fetente

E che si lavasse prima d’accostare Autone
Il qual non tollerava quel puzzo di montone

Il servidor ne fu molto turbato
Stimandosi senza colpa ingiurïato

Non sol pria del tutto affumicato
Ma poi senza giustizia apostrofato

È triste il vivere del pover servidore
Quando un signor comanda senza onore

Alfine Autone si riscosse dal monte orripilante
E chiesto ai servi se ‘l suo deretano fosse netto idoneamente

S’apprestò adunque a cominciare il giorno,
e come suo costume pria volse la testa lentamente intorno

Scrutò con tedio il barbaro orizzonte
Riarso a manca e a dritta liquescente

Quinci scorse nel cielo uno stormo sciamare
Nel bel settentrione diretto a dimorare

S’annuvolo tosto d’ira e amara nostalgia
Per rimembranza acerba di sua terra natia

Lui esule, negletto e pur sbandito
E ‘l suo codazzo turpe riverito

«Ah se vorrei tornar con l’ascia più tagliente
Farei cibo per porci di tutta quella gente

Perfidi e marrani, infami e anco codardi
Quant’io fui astro carco di luminosi dardi

Regga il furore all’avverso destino
Orbato sì di gloria, ma non a capo chino»

Saliva intanto in cielo il sol del mezzogiorno
mirò e poi volse il capo, più pigramente intorno